Di maschi, ne ho conosciuti tanti. In silenzio li ho osservati, ascoltati mentre col sangue agli occhi vantavano avventure sessuali che solo loro al mondo. A sentirli parlare, un attore dedito al porno è un novellino.
Li ho ascoltati mentre litigavano al telefono con le compagne, con le mogli. Le loro parole al veleno con un occhio agli amici, in cerca di approvazione che ascoltano estasiati e lo incitano ad andare avanti, a sputarlo ancora quel veleno. Per non dire di quando, una volta chiuso il telefono, il marito o il compagno della lei inconsapevole si lanciava in parabole picaresche di avventure al di fuori del letto coniugale e del fatto che, se avesse avuto quel po’ di coraggio in più, l’avrebbe fatta fuori e sotterrata a sei metri da terra. Ovviamente sotto, terra.
Nessuno è santo, certo.
Nessuno, uomo o donna che sia, può essere certo di non commettere mai un errore.
Nessuno.
L’uomo è una brutta bestia specialmente se si unisce al branco. A quel punto tutto può succedere.
Succede che in gruppo si violenta una ragazza a ripetizione per tre, schifosissimi, anni.
Succede che una ragazza di trentuno anni, che si stava sforzando di riprendere in mano la sua vita, non regge il peso di una pratica che offende non solo la donna ma l’essere umano nella sua totalità. Essere cioè svilita, ricattata, privata della sua morale, della sua essenza. E per cosa?
Per aver creduto, anche solo per un attimo, che quell’uomo col quale stava consumando una più che legittima serata in cui per una volta si da fuoco all’istinto, fosse buono.
Ma gli uomini bramano le donne come oggetti, come animali. Dici “Donna” e subito ti ritrovi con un insistente prurito fra le gambe.
Pezzi di carne, le donne.
La femmina.
Qualche volta mi vergogno.
di Francesco Faraci
*Photo Copyright: Alessandra Lucca
“E’ una ragazza movimentata, se l’è andata a cercare”.
Bambina di tredici anni, stuprata, violentata, vessata per ben tre anni da nove persone.
“Ti è piaciuto zoccoliare e farti guardare? Adesso non ti resta che un foulard da cui penzolare”.
Tiziana, 31 anni, derisa, insultata, oltraggiata per un video privato divenuto virale. Si è suicidata.
“Un po’ di tempo fa ci eravamo lasciati, ma io non sopportavo che fosse finita. Lei stava già con un altro”.
Sara, 22 anni, strangolata e bruciata viva dall’ex fidanzato.
Vittime di una società maschilista e arcaica, violenta e ostile, disumana e irrispettosa.
Ed è tremendo constatare la totale assenza di sensibilità, cultura e intelligenza; è terribile vivere in una società in cui gli uomini non riescono a riconoscere le differenze fra i due sessi senza sentirsi superiori e/o intimoriti dal confronto col genere femminile.
La donna deve stare al suo posto, d’altronde un antico saggio recita: ”Quando torni a casa la sera picchia tua moglie; tu non sai perché, ma le sì”.
Signora Simona
(Perché dopo anni di studio, il conseguimento di laurea specialistica, di abilitazione all’esercizio della professione medica, di specializzazione chirurgica in Otorinolaringoiatria, è utopico pretendere che un paziente mi si rivolga dandomi del lei e chiamandomi “Dottoressa”. Sono una donna ed ho solo 30 anni).
di Simona D’Alessi
*Photo Copyright: Alessandra Lucca
“Sei solo una troia”.
Quante di noi se lo sono sentito dire. Quante di noi hanno ingoiato quelle 5 lettere: la erre che graffia la gola, la i che proprio ti ci rimane incastrata.
Quante di noi hanno subito violenze non necessariamente fisiche, ma sicuramente psicologiche e si sono rifugiate nel silenzio. Perché chiunque ti scoraggia dal denunciare in quanto non sappiamo mai cosa potrebbe venir fuori da un maschio alfa con l’orgoglio stropicciato.
Tuttavia, dietro la selva oscura di un branco di uomini affamati, ci siamo noi: le femmine. Quelle che additano malignamente le altre femmine se ci sembrano troppo libere e quelle che crescono gli stessi figli che poi ci ammazzano come cagne fra cori da stadio. Sì, proprio noi femmine li partoriamo quei maschi, li alleviamo e li educhiamo.
Ma educhiamo anche le nostre figlie. E facendolo sarebbe ora di smettere di reiterare vecchi modelli che non servono a nessuno in cui si continua a distinguere fra “cose da maschi e cose da femmine”, “lacrime da femminuccia” e “uomini che non piangono mai”.
Credo sia arrivato il momento dell’autocritica. Il momento di smettere di propinare alle nostre figlie l’obbedienza e la verginità come valori da offrire al maschio protettore. Cresceteci libere e senza paura, colte ed indipendenti.
Insegnateci a fregarcene della reputazione che è solo lo stagno in cui galleggiano pezzi di opinioni altrui e a lottare per la nostra dignità. Dateci un metro di misura per le nostre azioni: la nostra coscienza.
“Nessun dio, nessun marito, nessun padrone”
di Maria Grazia Patania