• About Collettivo Antigone
  • Arte & Bellezza
  • Babel: other languages
  • Cinema
  • Contributors
  • Cookie Policy
  • Disobbedienza e Resistenza civile
  • English
  • I Figli della Fortuna
  • Il Corpo delle Donne
  • Muros
  • Our team
  • Programmazioni
  • Radio Bonn

Collettivo Antigone

~ Proteggere e custodire le leggi naturali di ogni essere vivente

Collettivo Antigone

Archivi della categoria: Palermo

Memoria, Reminiscenza o Ricordanza?

19 mercoledì Lug 2017

Posted by cristallina555 in 2017, Collettivo Antigone, Palermo, R-esistenza, Senza categoria, Testimonianze

≈ Lascia un commento

Tag

Antimafia, Capaci, Collaboratori di Giustizia, Giovanni Falcone, memoria, Palermo, Paolo Borsellino, ricordanza, riminescenza, Via D'Amelio

Memoria: da mèmor, che si ricorda; è la facoltà di ritenere e riprodurre i pensieri primitivi senza che ritorni l’occasione che li suscitò. Cosa data, lasciata o posta in contrassegno per ricordare.
A parlare propriamente, Memoria è la facoltà di ritenere; Reminiscenza la facoltà di richiamare alla mente le cose apprese e Ricordanza lo stato passivo della mente, alla quale senza sforzo e ricerca si presentano le cose altra volta apprese.

Avevo 8 anni.
Ricordo, stavo mangiando una cotoletta davanti alla tele. La nonna me l’aveva tagliata a pezzetti seminando nel piatto briciole unte di pan grattato. Stavo accucciata sul tappeto, annoiata dall’inizio improvviso del tigì, un gomito appoggiato al tavolino di vetro. La tele trasmetteva immagini che non comprendevo fino in fondo anche se avevo la netta sensazione che fosse successo qualcosa di grave.
Un incidente, doveva essere stato quello a bloccare la strada.
Dalle parole dei giornalisti capii che, no, non era stato un incidente.
L’attentato – imparai una nuova parola quel giorno – aveva causato la morte di molte persone.

“Capaci”, diceva il cartello.
Capaci di cosa? – mi chiedevo, masticando la carne ormai fredda.

Guardavo il retro di un’automobile bianca che stava ferma in mezzo alla carreggiata, sepolta e circondata di detriti. Pezzi di asfalto, polvere, pietre. Poi, altre auto con i vetri in frantumi e le lamiere bollate.
Tra i rottami vi erano uomini che si guardavano intorno: le facce incapaci di qualsiasi espressione, gli occhi sbarrati e lo sguardo disorientato di chi torna a casa e la trova rasa al suolo. Stavano in piedi sui pezzi di strada che, saltati in aria, erano atterrati uno sopra l’altro. I lembi d’asfalto, così mal disposti, mostravano un cratere di terra che si allargava fino ai terreni limitrofi, tra gli ulivi e i cespugli che crescevano alle porte di Continua a leggere →

Tutti i giorni è il 3 Ottobre

03 lunedì Ott 2016

Posted by cristallina555 in 2016, Africa, autodeterminazione, Collettivo Antigone, Cristina Monasteri, Disobbedienza, Il silenzio dei vivi, La memoria del futuro, Olocausto, Olocausto del Mare, Palermo, R-esistenza, Refugees Welcome, Restiamo umani, Senza categoria

≈ Lascia un commento

Tag

3 ottobre, Collettivo Antigone, europa, lampedusa, leoluca orlando, Olocausto, Olocausto del Mare, Palermo

3 Ottobre 2013.

368 morti accertati.

20 dispersi, presunti.

155 superstiti. 41 minori.

194 corpi recuperati durante le prime operazioni di recupero.

108 corpi recuperati nei sei giorni seguenti.

210 uomini, 83 donne, 9 bambini. Morti.

50 corpi recuperati nove giorni dopo il naufragio.

 

31 Agosto 2016.

30 interventi di soccorso.

1800 persone salvate.

1 gommone carico di migranti.

3 cadaveri.

410 persone vive.

Il piccolo Pietro, nato a bordo di una motovedetta.

 

A Lampedusa, Augusta, Messina, Palermo, Taranto, Cagliari tutti i giorni è il 3 Ottobre.
Tutti i giorni, arrivi. Tutti i giorni, vite salvate. Tutti i giorni, vite spezzate.
Occhi sgranati, mani tese. Esseri umani.

Il Collettivo Antigone vuole condividere con i propri lettori le parole del Sindaco di Palermo, Leoluca Orlando. Si tratta di una lettera del 2015, indirizzata a David Cameron, Nikola Gruevski, Jean-Claude Juncker, Matteo Renzi, Alexis Tsipras, Manuel Valls.

3-ottobre

*Photo Copyright: Francesco Malavolta, Lampedusa, 3 Ottobre

“Due anni fa dicevamo “Non è una questione che riguarda soltanto la Sicilia”.

All’inizio di questa estate abbiamo sentito ripetere “Non è una questione che riguarda soltanto l’Italia” o “soltanto la Grecia”.

Qualche settimana fa, con l’assalto ai tir e ai treni diretti a Calais, abbiamo sentito dire “Non è una questione che riguarda soltanto la Francia e la Gran Bretagna”.

Da oggi, con quel che è successo a Gevegeljia sentiremo certamente ripetere “non è una questione che riguarda soltanto la Macedonia”.

Quanti altri morti, quante altre tragedie, quanti altri milioni di euro spesi per prevedibili emergenze? Quanto ancora dovremo aspettare perché finalmente e davvero si cominci a parlare e ad agire considerando il tema delle migrazioni come una questione politica europea e globale?

Non importa quale opinione ognuno di noi abbia sulla struttura, gli obiettivi e le politiche attuali dell’Unione Europea. Non importa l’idea che ciascuno di noi ha del futuro dell’Unione Europea.

Oggi è in gioco molto di più che non l’Unione Europea.

Di fronte ai fenomeni migratori che assumono proporzioni sempre più grandi, con decine e centinaia di persone, di uomini, donne, bambini, ragazzi ed anziani pronti a tutto pur di tentare l’ingresso in Europa è ovvio che qualsiasi politica di chiusura, di muri e barriere, di filo spinato o campi minati, è una politica perdente, perché destinata soltanto a spostare il problema di qualche chilometro, allontanare l’emergenza di qualche giorno, alimentare soltanto il traffico e i trafficanti di essere umani.

A 70 anni dalla fine della barbarie nazi-fascista e a 25 anni dalla fine della cortina di ferro, l’Europa deve saper trarre profitto dalla sua storia, deve saper apprendere dai propri errori.

Alimentare odio, xenofobia e chiusure alimenta solo la violenza; alla lunga porta solo distruzione e morte, materiale e culturale.

Allora occorre che ognuno di noi abbia la forza e il coraggio di fare un primo passo.

I lutti, le quotidiane tragedie, le immagini di poliziotti della “civile” Europa che sparano su uomini, donne e bambini indifesi per allontanarli dai nostri confini sono il segnale che altre politiche e altre soluzioni sono necessarie, sono indispensabili e sono urgenti, se non vogliamo tutti insieme essere attori e complici di un genocidio.

Qualche settimana fa, durante il convegno internazionale “Io sono persona” a Palermo, è stato approvato un documento che propone l’abolizione del permesso di soggiorno e la revisione integrale delle politiche europee in materia di migrazioni e cittadinanza.

Sono proposte forti e forse non condivise da molti; ma sono il segnale che altre strade sono possibili e che tutti abbiamo il dovere e la possibilità di ragionare insieme, ma in fretta, su queste altre politiche e soluzioni.

La mancata o ritardata risposta ai diritti umani (“Io sono persona”, appunto) di coloro che, con espressione che ormai evoca alterità ed emarginazione, chiamiamo migranti, lascerà certamente grumi di incomprensioni, sensibilità ferite, anche di voglia di rivalsa o vendetta che peseranno in futuro, con caratteristiche imprevedibili ma certamente drammatiche sulla qualità della vita e la stessa convivenza tanto dentro quanto fuori i nostri singoli paesi e l’Unione Europea.

Signori Presidenti, oggi mi rivolgo a Voi, proprio perché Voi, i vostri Governi e i vostri concittadini avete e hanno chiaro che “non è una questione solo italiana, solo greca, solo britannica, solo francese o solo macedone”, nella speranza che si possa registrare una svolta che vada oltre la migrazione come sofferenza/emergenza e rispetti la mobilità internazionale come diritto umano inviolabile; una svolta che impedisca il perpetuarsi di un vero e proprio genocidio  e il considerare tutti e ciascuno dei Popoli e degli Stati dentro e fuori l’Unione Europea complici, se non responsabili di quel genocidio.”

R-esistete!

Perché l’olocausto del mare venga fermato.
Scegliamo il presente. La memoria è nulla senza una scelta consapevole che manifesti nell’Oggi la volontà di difendere il diritto alla vita, alla felicità. Per tutti.

Colori, cambiamenti

21 mercoledì Set 2016

Posted by cristallina555 in 2016, Ambiente, Arte, Bologna, Claudio Beorchia, Collettivo Antigone, Cristina Monasteri, Disobbedienza, Francesco Malavolta, Mostre fotografiche, No Tav, Olocausto, Olocausto del Mare, Palermo, Photography, R-esistenza, Refugees Welcome, Restiamo umani, Senza categoria, Sostenibilità, Street Art, Torino

≈ Lascia un commento

Tag

ambiente, Arte, bellezza, Blu, Collettivo Antigone, Cristina Monasteri, Francesco Malavolta

A coloro che, attraverso lenti a vapore, scoprono le stelle e navigano nel filo del vento
George. G. N. Byron

Rosa quarzo, Azzurro Serenity, Orange Peach, Giallo sole, Verde equatoriale, Lilla, Blu elettrico, Blu Navy, Sun set, Scarlatto: questi i colori trend per la primavera/estate 2016; una stagione che stiamo per archiviare insieme alle foto scattate in vacanza: quelle in cui mostriamo leccornie ordinate al ristorante o quelle che ci immortalano a mezz’aria mentre saltiamo sul bagnasciuga manco fossimo Kaori nella pubblicità del Philadelphia.

Oppure.

Oro-coperta termica,
Blu,
Argento-filo spinato.

 

Oro.

mal

La coperta isotermica (detta anche telino isotermico o metallina) è un presidio medicale utilizzato per la stabilizzazione termica dell’organismo. Trattiene il calore in caso di ipotermia e lo riflette in caso di colpi di calore. Foto copyright di Francesco Malavolta

Un materiale estremamente evocativo ed emblematico dei nostri tempi: così Claudio Beorchia definisce i teli oro e argento che dal 2011 impiega per le sue installazioni. Il suo progetto State of Emergency colpisce sin dal nome perché amplifica lo stridore tra due concetti in contrapposizione. Beorchia, infatti, ama i giochi di parole che sfruttano i doppi significati e diversi piani d’interpretazione. Stato. Una condizione, ma anche un luogo delimitato da confini, un territorio organizzato, regolato da norme e convenzioni. Un dato di fatto, una costante. Emergenza, invece, è una parola improcrastinabile e improvvisa: evoca il ritmo incessante che sta dietro l’urgenza, rapidità; chiama in risposta una organizzazione straordinaria per far fronte allo stravolgimento rispetto a una situazione di continuità. L’artista ci provoca e interroga il lessico prima ancora della nostra capacità interpretativa. Vuole che ci chiediamo se si possa ancora parlare di emergenza quando ci interroghiamo su flussi migratori che proseguono da anni, coinvolgendo milioni di persone.
Un lustro è passato da quando Beorchia ha cominciato, con il suo lavoro, a scardinare la percezione secondo cui ogni sbarco sia fine a se stesso, slegato dalle dinamiche che hanno portato alla crisi e, quindi, impossibile da risolvere. Non siamo in uno stato di emergenza e questo è un olocausto. Il concetto di trasformare i teli isotermici in bandiere nazionali nasce a Torino ma è a Gibellina, in occasione di una residenza artistica, che prende vita l’idea di sostituire la bandiera europea con un’ inconsistente omologa d’oro e argento. La bandiera è stata poi issata in altre città del Belice tra cui Castelvetrano e Partanna ma anche a Lampedusa finché il 21 aprile scorso l’artista, insieme al sindaco di Palermo Leoluca Orlando, ha partecipato al fissaggio della sua Coperta/Bandiera presso la sede del Comune.

dsc_7600_croppata-raddrizzata_piccola

Coperta/Bandiera – Palazzo delle Aquile, Palermo

 

Per Claudio Beorchia è di fondamentale importanza che le istituzioni partecipino all’esposizione pubblica della Coperta/Bandiera poiché è necessario tracciare un percorso che da Lampedusa arrivi al cuore dell’Europa la quale non si è dimostrata all’altezza del compito che la Storia le ha assegnato. In proposito vorrei riportare uno stralcio della lettera che Orlando ha indirizzato al Presidente del Parlamento europeo Schulz, al Presidente della Commissione europea Juncker e all’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Mogherini: “Ancora una volta l’Arte è più avanti di meschinerie di Stati e degli egoismi finanziari e la città di Palermo vuole denunciare il genocidio in atto, del quale un giorno l’Europa potrà essere chiamata responsabile come dopo 70 anni italiani e tedeschi siamo chiamati responsabili del genocidio nazifascista.” State of Emergency è un progetto viaggiante. La foto ufficiale, scattata in occasione dell’evento di Palermo è stata esposta a Malaga, in occasione del UPHO Festival e a Salonicco per Urban Layers: “Identity Flows”: festival en plain air, allestiti per le strade delle città che li ospitano. Il 3 settembre Coperta/Bandiera è stata issata presso il Palazzo dei Celestini, sede della Provincia di Lecce: qui l’ultima tappa in occasione di Bitume Photofest che ha anche ospitato la foto in grande formato già esposta in Spagna e Grecia.

Coperta/Bandiera fonde forma e contenuto fino al punto di non riuscire a scindere l’una dall’altro. Due facce dello stesso foglio. Una scalda, l’altra isola. Sfruttando le caratteristiche fisiche e la potenzialità evocativa del materiale isotermico, l’artista nel 2015 ha vinto la quarta edizione di Un’Opera per il Castello, concorso organizzato per Castel Sant’Elmo a Napoli, il cui tema Lo spazio della Comunicazione. Connessione e condivisione è stato espresso al meglio da Beorchia con l’opera Il Tesoro. Uno scoglio coperto del solito materiale ultra leggero. Un colore che si presenta costantemente per proteggere, delimitare, identificare. Il Tesoro è un grande scoglio ma stupisce per la sua inconsistenza, è un’evanescenza che gioca con l’aria spostata dal corpo del visitatore producendo suono all’interno dell’ambiente per l’esposizione permanente ad esso dedicato. Uno scoglio che evoca l’idea del viaggio ma, soprattutto, la speranza di un approdo.

beorchia-tesoro-napoli-santelmo

Il Tesoro – Castel Sant’Elmo, Napoli

 

 

Blu.

Blu Bondi. Blu di Persia, di Prussia. Blu Savoia, Tiffany, Cobalto. Blu fiordaliso. Blu marino. Blu oltremare. Blu scuro, blu elettrico, blu notte. Blu, lo street artist italiano che vive nell’anonimato e che qualche mese fa ha fatto parlare di sé per aver coperto con una mano di grigio i suoi lavori bolognesi. Blu non è pazzo, tantomeno ingrato. È, bensì, uno degli artisti che più mi stanno a cuore per la coerenza e il rigore dimostrati sempre, in ogni luogo abbia avuto occasione di lavorare, mettendo a disposizione di tutti la sua arte ed è proprio questo il motivo per cui ha deciso di cancellare i suoi murales. Ma dico: ve lo immaginate quanto deve essere difficile per un artista cancellare un proprio lavoro? Un’opera concepita, maturata, ripensata, immaginata, realizzata, partorita? Eppure c’è qualcosa di più forte della rinuncia: il rifiuto alla prepotenza, alla prevaricazione, all’impudenza. Ve la ricordate la mostra Banksy & Co, allestita a Bologna da marzo a giugno di quest’anno? Patrocinata da Genus Bononiae, la mostra ha rinchiuso tra quattro mura ciò che è nato per stare per la strada, sui muri scalcinati e nei palazzi abbandonati e sui vagoni dei treni e nei parchi, sulle scuole e davanti alle scuole. Chiudere la street art in un museo significa staccare le opere dai muri, strapparle dagli ambienti in cui sono state pensate e integrate; significa decontestualizzare. L’associazione che ha rimosso i lavori dalle pareti di Bologna ne è di conseguenza diventata proprietaria e non potendo venderle da Statuto, potrà lucrare sugli ingressi alla mostra (13 euro, per persona). Fabio Roversi-Monaco ha risposto alle critiche difendendo la legittimità dell’intervento di spoliazione poiché si tratterebbe, secondo il presidente di Genus Bononiae – Musei nella città, di opere abusive che vengono acquisite da chiunque compri il muro su cui sono ospitate. La protesta di Blu è arte quanto lo sono i suoi murales. Si tratta di conflitto, rifiuto, resistenza contro le logiche di quella parte di società che ha sposato e spostato gli ideali capitalisti anche nei contesti nati per opporvisi. Chiudere la street art in un museo è come tenere in cattività un grande squalo bianco: lo si uccide.

Come membro del Collettivo Antigone mi sono occupata di Tav e Resistenza al Tav e, in proposito, vorrei sottoporre all’attenzione dei lettori un murale realizzato dall’artista in Val di Susa. La realizzazione dell’opera è iniziata nel 2015 ma, dopo l’intervento della polizia, Blu ha dovuto interrompere i lavori. Il murale di Chiomonte è stato completato alla fine di aprile di quest’anno. Alta Voracità rappresenta le figure istituzionali e professionali coinvolte nei lavori per il treno ad alta velocità. Dal politico all’operaio, dal poliziotto al giudice. Posti ginocchioni e in fila indiana, tutti ingurgitano risorse naturali per defecare denaro.

blu_alta_voracita.JPG

Alta Voracità – Chiomonte, Val Susa. Fonte: http://blublu.org/sito/blog/?p=2751 

 

 

Argento.

Siamo tutt* clandestin* è lo slogan che ha accompagnato la manifestazione No Borders organizzata a Roma lo scorso Maggio. I partecipanti hanno portato tende, giubbotti di salvataggio e porzioni di filo spinato come simboli della protesta contro la chiusura delle frontiere e contro l’accordo tra Turchia e Unione Europea (un approfondimento in proposito, curato da Maria Grazia Patania e Claudia La Ferla, lo trovate qui).

Si è tanto parlato di lifejackets e altri dispositivi di salvamento ma il filo spinato, giustamente affiancato a oggetti evocativi per quella che è la situazione in cui si trovano i rifugiati, si allontana molto dalla sfera di significato richiamata dai giubbotti arancioni o dalle coperte dorate perché il filo spinato non è un dispositivo umanitario. Non è fatto per proteggere, bensì per imprigionare. Nato alla fine dell’800 viene descritto dal suo inventore come l’accostamento di due fili di ferro e una serie di spine e avrebbe dovuto tenere il bestiame fuori dei campi coltivati. Il bestiame e gli indiani, ça va sans dire. Dopo l’impiego durante la guerra di secessione americana, la consacrazione del filo spinato arriva con la prima guerra mondiale e le decine di migliaia di chilometri di trincee scavate durante gli scontri che dilaniarono l’Europa tra il 1914 e il 1918.

filo_classico

Filo spinato

 

Il modello classico di filo spinato è facilmente valicabile dagli uomini, per cui è stato inventato il nastro spinato nel quale le spine sono state rimpiazzate da lame. Lame che squarciano la pelle. Più ci si divincola, più ci si ferisce, si sanguina.

concertina

Nastro spinato

 

Dopo l’intensificazione dei controlli all’ingresso di molti paesi europei tra cui Francia, Norvegia, Svezia e Danimarca è stata la volta dell’Austria e della Slovenia che hanno annunciato un tetto massimo giornaliero di accoglienza per i rifugiati e i richiedenti asilo. L’Ungheria ha costruito barriere lungo il confine con Serbia e Croazia, un muro è stato eretto tra la Bulgaria e la Turchia. L’Estonia si prepara alla realizzazione di una barriera lungo il confine con la Russia e la Macedonia; già dal novembre scorso, ha innalzato una barriera al confine con la Grecia. Anche il Regno Unito, reduce dal referendum sulla Brexit, ha annunciato la costruzione di un muro per arginare i flussi in partenza da Calais, sulla costa francese.
L’unico fabbricante di filo spinato in Europa, così come si legge nel sito dell’azienda, è la European Security Fencing. Gli specialisti della sicurezza passiva. L’impresa nasce nel 2003 e fa parte del gruppo Mora Salazar Cercados, fondato nel 1975 e specializzato nella produzione di materiali di contenimento quali reti, recinzioni, porte e barriere metalliche. Con sedi a Màlaga e Berlino, la ESF vanta tra i propri clienti la Repsol, la NATO, alcuni ministeri spagnoli, l’Ungheria che ha commissionato più di centosettanta chilometri di nastro spinato, la Serbia, la Macedonia, la Polonia, la Turchia, il Marocco, Ceuta, Melilla. Come riportato dal sito dell’azienda, sono più di venti i paesi in cui questi prodotti vengono esportati.

La scorsa estate, in seguito a una gara d’appalto indetta dal governo ungherese per la fornitura di quaranta chilometri di nastro spinato, viene contattata anche la Mutanox. Si tratta di una piccola azienda tedesca di proprietà del signor Talat Deger che da bambino è emigrato in Germania, dalla Turchia. La Mutanox ha 15 dipendenti e si trova nel quartiere turco di Berlino. La commessa avrebbe portato nelle casse dell’azienda una cifra pari a cinquecento mila euro, ma il signor Talat Deger non ha accettato il lavoro. Un uomo che ha conosciuto in prima persona il dramma dell’immigrazione e che è cresciuto in una Berlino spaccata da un muro costruito in una notte, ha scelto di non rendersi complice di quella che è una gravissima violazione del diritto alla vita.

Talat Deger non si sente orgoglioso poiché si è semplicemente comportato da essere umano, perché “bloccare quei disperati è omicidio”.

di Cristina Monasteri

 


Questo pezzo è stato scritto per esprimere il malessere che provo ogni volta che mi scontro con chi non ha più domande ma tanto fiato per urlare risposte stereotipate e prive di spunti personali.
Attraverso un percorso partito dalle opere dorate di Claudio Beorchia, ho sentito la necessità di seguire il fil rouge della resistenza che, anche in questo viaggio, diventa la vera protagonista.
Ogni volta che un uomo si ribella alle leggi scritte dall’uomo per difendere il sacrosanto diritto alla vita, io sento che non è finita. Sento l’urgenza di raccontare queste storie perché è ora di scegliere da noi quali modelli seguire.
Scegliamo l’oro, non il giallo sole.
Scegliamo gli uomini, non i caporali.

R-esistete!

C.

Francesco Faraci: Migranti e Periferie sono lo specchio della nostra barbarie

10 venerdì Giu 2016

Posted by orukov in 2016, Collettivo Antigone, Francesco Faraci, MariaGrazia Patania, Olocausto del Mare, Palermo, Parole del Collettivo, Periferie urbane, Progetti, R-esistenza, Refugees Welcome, Restiamo umani, Scuole Verdi Augusta

≈ Lascia un commento

Tag

Antigone, Augusta, bellezza, Collettivo Antigone, Francesco Faraci, MariaGrazia Patania, Olocausto del Mare, Parole, Testimonianze

Qual è il ricordo più vivido del giorno in cui per la prima volta ci siamo incontrati ad Augusta, alle “scuole verdi”? Come sei arrivato a noi?

Ricordo esattamente quando varcai il cancello d’ingresso della scuola, i vestiti stesi ad asciugare sulle finestre, sulle scale, in ogni dove. Quel sentore contraddittorio di paura e conforto, i suoni di quelle lingue musicali, la musica che proveniva dal piano di sopra, il movimento e l’energia, ricordo tutto come fosse ieri, quegli occhi me li sento ancora dentro. Era la prima volta, ne ero venuto a conoscenza dai giornali, ne parlai con un’amica che a sua volta mi mise in contatto con te. A quel punto successe qualcosa. Mi misi in viaggio perché sentivo di dover vedere con i miei occhi, toccare con mano quella realtà, conoscerla fino in fondo, forse con un po’ di incoscienza. Giorni prima avevo visto, sul un molo del porto di Palermo, i cadaveri di alcuni migranti, che non ce l’avevano fatta, chiusi dentro anonimi sacchi bianchi e poi dentro bare di legno grezzo, con sopra un numero. Non doveva succedere, eppure stava succedendo, nella mia terra. Assistere a quelle tragiche scene ha cambiato la mia visione del mondo, mi ha scosso, per giorni e giorni. Decisi così di dare il mio contributo, di fare la mia parte.

far7

Tu sei il fotografo delle periferie, se proprio volessimo darti una definizione. Eppure per me resti sempre il fotografo dei migranti della mia scuola elementare. Trovi affinità fra i due soggetti?

Le periferie e i migranti. Trovo che ci sia un filo invisibile a legare i due argomenti. Sono entrambe situazioni limite, ammantate di luoghi comuni e pregiudizi di ogni sorta, facili bersagli delle campagne elettorali e delle austere politiche occidentali ed europee di cui, nella maggioranza dei casi, non possiamo che prendere atto dei loro totali fallimenti, in special modo per quel che riguarda le politiche di inclusione sociale, d’integrazione. Gli attentati di Parigi, ma non solo, ne sono un perfetto esempio. Chi ha compiuto il massacro veniva dalla periferia, è quello il luogo che ha fatto detonare l’odio, la rabbia. E’ lì che vengono stipati perché non si vedano. Migranti e periferie sono lo specchio della nostra barbarie.

far 2

Dopo quel Maggio 2014 hai fotografato ancora sbarchi, centri di accoglienza, migranti? Quali sono le sensazioni principali che provi mentre scatti?

Si, ho fotografato e ancora oggi continuo a fotografare e a documentare la condizione dei migranti nei centri di accoglienza siciliani ma non solo. Mi occupo anche di seguirli nel loro inserimento in società, di ciò che succede dopo la loro permanenza nelle strutture, del modo in cui mutano le città in funzione dei flussi migratori. E’ un caleidoscopio di emozioni e tutte contrastanti: dal pianto al riso, dalla rabbia alla gioia, dalla luce al buio, ma con un’unica grande costante: la bellezza dei loro sguardi, dei loro sorrisi, dei loro abbracci.

far8

Quale credi sia il senso profondo del tuo lavoro? E della fotografia in questi contesti?

La voglia di abbattere i luoghi comuni, ecco ciò che mi spinge veramente. Mostrare la loro umanità, far capire al mondo intero che stiamo parlando di persone in carne ed ossa e che tutto quello che succede riguarda tutti, non esenta nessuno da colpe, nemmeno noi che documentiamo la situazione. Vorrebbe essere una spinta per ognuno, perché faccia la propria parte, ad avviare quella rivoluzione culturale e sociale che includa l’altro non come elemento alieno della società ma come una ricchezza, un’opportunità per essere migliori.

far3

di Maria Grazia Patania

Qui il suo sito web e la sua pagina fb


E’ sempre complicato mantenere una certa distanza emotiva di fronte alle foto di Francesco: sono scatti in cui la vita trabocca ed esplode. Un po’ come il sorriso dei bambini o le lacrime di chi deve fuggire da scenari di guerra e violenza. Per me le sue foto sono quasi una terapia: quando mi manca troppo casa, faccio un giro fra i suoi scatti e trovo i volti della mia infanzia, i paesaggi e i gesti della Sicilia, la simmetria del caos in cui sono cresciuta.

far9

far5

Yusupha Susso

10 domenica Apr 2016

Posted by orukov in 2016, Collettivo Antigone, Francesco Faraci, Palermo, R-esistenza, Refugees Welcome, Restiamo umani, Simona D'Alessi

≈ Lascia un commento

Tag

Antigone, Collettivo Antigone, Francesco Faraci, Parole, Simona D Alessi, Testimonianze, Yusupha Susso

Ha 21 anni Yusupha Susso. Viene dal Gambia, il più piccolo Stato del Continente Africano.
Chi lo conosce lo descrive come un ragazzo straordinario che nella sua breve vita (è nato nel 1995) ha affrontato tragedie immani. Ha attraversato l’Africa del Nord, il mar Mediterraneo ed è approdato a Palermo. Parla diverse lingue e grazie a ciò lavora come mediatore culturale presso il Tribunale. Ama l’Italia. Ama studiare, conoscere, apprendere. Ama cantare. Yusupha, infatti, è un cantante nomade, un jali. Non è un Africano, non ha la pelle nera, non parla una lingua diversa dalla nostra. Yusupha è semplicemente un nostro fratello, ha i nostri stessi valori e desideri per questa terra maledetta.
Sabato pomeriggio si trovava con alcuni amici in un vicoletto che sfocia nella più centrale via Maqueda. Era un sabato caldo e assolato, la città un fermento di persone, l’aria primaverile lieve e ricca di spensieratezza. Stava passeggiando tranquillamente Yusupha, forse stava canticchiando con la leggerezza tipica dei suoi venti anni.
Leggo sui giornali cartacei la ricostruzione degli eventi fatta dalla Polizia, sulle testate online visiono il video dell’accaduto: un ragazzo ventottenne, bianco, palermitano, pregiudicato, interviene in una rissa scoppiata per futili motivi e spara a Yusupha un colpo che gli attraversa la testa.

Yusupha oggi è in coma farmacologico, lotta fra la vita e la morte.

Fuori, per le strade panormite, gli “amici” del Pregiudicato continuano i loro raid nei confronti degli Immigrati per marcare il territorio perché, secondo il Questore Nicola Longo, c’è la chiara volontà di alcune famiglie di Ballarò di dimostrare e sottolineare il loro potere. Gli “altri” devono subire le angherie, prendere schiaffi e pugni, ricevere insulti senza aprire bocca.
Quanto successo non è ascrivibile ad un episodio isolato di razzismo, ma rientra in un quadro sociale molto più ampio che io stessa fatico a comprendere con estrema chiarezza.
Quel che so è che Yusupha era stanco di dover subire, stanco di dover abbassare lo sguardo. Quel che so è che tutti noi, insieme a Yusupha, dovremmo smettere di chiudere gli occhi e di girare lo sguardo.

UPDATE:
Yusupha e la comunità panormita si sono risvegliati: il primo dal coma, la seconda dal dormiveglia nel quale era piombata. Sabato 9 Aprile, infatti, si è tenuta una manifestazione per le strade di Ballarò contro ogni forma di prevaricazione e violenza.

di Simona D’Alessi

image

Photo Copyright: Francesco Faraci

 

Vite nuove

10 mercoledì Feb 2016

Posted by orukov in 2016, Augusta, Collaborazioni, Collettivo Antigone, Francesco Faraci, I figli della fortuna, MariaGrazia Patania, Olocausto del Mare, Palermo, Parole del Collettivo, R-esistenza, Refugees Welcome, Restiamo umani, Scuole Verdi Augusta, Testimonianze

≈ Lascia un commento

Tag

Antigone, Augusta, bellezza, Collettivo Antigone, Francesco Faraci, MariaGrazia Patania, Olocausto del Mare, Parole, Scuole Verdi Augusta, Testimonianze

“Mi chiamo Mohammed e sono nato l’1.01.1991. Vengo dal Gambia e nel mio paese non mi aspetta nessuno. I miei genitori sono morti tre giorni dopo la mia nascita mentre tornavamo a casa dall’ospedale. Sono stato l’unico sopravvissuto di un incidente stradale. Sono stato allevato da un uomo e una donna con tanti bambini, non figli loro. Mi trattavano male. Per me tutto era difficile. Avere cibo, avere vestiti. E ho deciso di scappare perché voglio una vita migliore.

Un mio amico mi ha dato i soldi del viaggio e una cartina dei paesi che dovevo attraversare. Sono arrivato da solo in Senegal e ci sono rimasto tre mesi vivendo per strada. Poi sono arrivato a Niamey in Niger e ho dormito in un edificio abbandonato per circa cinque mesi. Sono stato fortunato a non morire. Poi è arrivato il deserto. Sette giorni ammassati su un camion con la guerrilla che ci braccava. Non avevamo acqua e cibo. Siamo stati derubati più volte e se provavi a nascondere i soldi, ti sparavano. Cosi: boom”. E fa un gesto inequivocabile.

Sono morti in tanti, rifletto. Di stenti e di violenza. Di incuria e di fame. Sono morti mentre io abbracciavo mia madre. Sono morti mentre io lasciavo scorrere l’acqua della doccia. Inconsapevole di loro che muoiono di sete. Sono morti mentre io pianificavo il mio ordinato futuro di figlia privilegiata. Mentre io godevo della Vita. La stessa Vita che da loro scivola via senza quasi lasciare tracce.

“Poi siamo arrivati in Libia, a Saba. Saba è una città pericolosissima. Mi hanno internato tre mesi in un campo e volevano 500 dinar per liberarmi. Ma io non avevo nessuno a cui domandare il denaro e ho deciso che dovevo scappare. Lo sapevo che era pericoloso e stavo rischiando la vita, ma tanto sarei morto comunque.

E sono scappato e mi ha salvato un uomo buono. Ho lavorato quattro mesi per lui per raccogliere il denaro del viaggio. Poi sono andato a Tripoli e lì era l’inferno. Non valiamo niente. Ci chiamano con una parola che vuol dire senza patria e senza speranza. Puoi morire in ogni momento. Ogni mattina mi mettevo in fila con gli altri per cercare di essere preso a lavorare. Se sei fortunato ti pagano 2 o 3 dinar al giorno. Se non ti pagano e ti lamenti, ti sparano. Facile, no?

Un giorno venni a sapere che c’era una partenza. La gente era ammassata sul molo e ho avuto fortuna: mi sono intrufolato tra gli altri e sono salito senza pagare. Erano le due di notte e non c’era differenza fra cielo e mare. Abbiamo rifiutato gli aiuti tunisini sennò ci riportavano indietro e abbiamo continuato verso l’Italia. Finché abbiamo visto gli elicotteri e ci hanno salvati, nutriti e schedati coi numeri. Ho avuto paura di morire”.

Si interrompe di botto. Mi guarda dritto negli occhi.

“Maria, perché ti interessano le nostre storie. Perché parli con noi?“

Perché domani potrei essere io al tuo posto e se possiamo evitare altre tragedie, diffondendo le vostre storie… Ma non dico nulla. Lo abbraccio, lo accarezzo in silenzio contando sull’unica medicina che funziona da secoli senza mai fallire: l’Amore. Come una qualunque madre di un qualunque angolo di mondo, lo cullo con parole che non appartengono a nessuna lingua.

“Maria, io ho bisogno di una nuova vita qui in Italia. Perché in Gambia non ne ho nessuna“.

10856444_10205461215279955_5238735744244654848_o

Foto di Francesco Faraci

Di Maria Grazia Patania


Mohammed aveva una maglietta verde e dei jeans bianchi strappati quando ci siamo conosciuti. Era un sabato mattina: io, Francesco Faraci e la mia migliore amica eravamo insieme alle “scuole verdi” di Augusta per raccogliere le storie di questi ragazzi ammassati in un centro di prima accoglienza. Dalle prime frasi si capiva subito che Mohammed aveva una intelligenza peculiare. Con un suo amico la domenica è venuto a pranzo da me e entrambi hanno imparato a usare per la prima volta forchetta e coltello. Abbiamo scattato una foto di famiglia che spero conservino nella memoria del cuore. Poi ha passato le Alpi ed è arrivato in Germania, ma ho avuto sue notizie solo raramente da allora. Francesco era partito all’alba da Palermo per venire da noi e quel giorno è nata una amicizia che continua nonostante distanze, latitudini diverse e poche opportunità di vedersi.

Questo racconto fa parte de I Figli della Fortuna, la sezione che ha dato il via al Collettivo Antigone stesso.

Deserto d´Acqua

22 venerdì Gen 2016

Posted by orukov in 2016, Arte, Collettivo Antigone, Eventi, Olocausto del Mare, Palermo, Progetti, R-esistenza, Refugees Welcome, Restiamo umani, Simona D'Alessi, Teatro, Teatro Atlante

≈ Lascia un commento

Tag

Antigone, bellezza, Collettivo Antigone, Palermo, Parole, Simona D Alessi, Teatro Atlante, Testimonianze

Di Emilio Ajovalasit

Con Emilio Ajovalasit, Aurelia Alonge Profeta, Preziosa Salatino

http://www.teatroatlante.com

Chi nasce in un’Isola lo sa benissimo: il mare ti circonda, ti avvolge, ti stringe a sé e ti separa dal resto del Mondo. E questa consapevolezza è stata fatta propria anche dai più di 130.000 migranti che hanno raggiunto le coste europee nell’ultimo anno e dalle oltre 2000 vittime di quella che è stata definita “la rotta più letale del mondo“: la traversata del Mediterraneo.

Delle loro esistenza, presenza, vita, si ha immediata prontezza non appena si volge lo sguardo verso la scenografia essenziale, ma non per questo non intensa, dello spettacolo: vestiti; vestiti ovunque; vestiti stesi; vestiti appartenuti a chi ha affrontato il mare; vestiti restituiti dal mare; vestiti raccolti da chi, quotidianamente, sta in attesa dell’AVVISTAMENTO.

E una volta avvistati, la procedura di accoglienza da attuare è complessa, standardizzata, distaccata, asettica. Ma come si può rimanere indifferenti davanti a tale tragedia? Nonostante l’atteggiamento da automa di uno dei personaggi dello spettacolo, il tumulto interiore è immane ed esplode davanti al rinvenimento del corpo di una donna, davanti alla lettura dell’ultimo sms trasudante speranza e amore, mai inviato.

vestiti

Uno spettacolo teatrale che si snoda su due piani. Da una parte ci siamo Noi, rappresentati dai tre personaggi in divisa, comodamente confortati dalle (in)certezze che la nostra società ci dà, legati ad atteggiamenti freddi e matematici. Dall’altra parte “Gli Altri”. Uomini, donne, bambini e le misere tracce del loro esserci. E poi Lui, il Mare. Enorme distesa di acqua salata che “ti parla se sai ascoltarlo“, maestoso, potente, prepotente, che con i suoi umori può decidere della vita e della morte quasi fosse una novella Parca. Il mare, la nuova frontiera da scrutare, sorvegliare, proteggere.

Deserto d’acqua racchiude in sé storie di chi ha raggiunto la terra ferma e di chi, invece, è stato inghiottito dal mare ispirandosi a “Il deserto dei Tartari” di Buzzati. Storie drammatiche, reali, quotidiane, sapientemente intrecciate fra loro lungo il filo conduttore dell’accoglienza del diverso.

Non è facile mettere per iscritto le emozioni provate, il dolore sordo che trafigge alla vista della piccola camiciola bianca, immacolata come la vita che l’abitava. Uno spettacolo che va visto e rivisto, interiorizzato e metabolizzato, uno spettacolo così intenso da togliere il fiato.

blinded

di Simona D´Alessi

seguici su

  • Visualizza il profilo di antigonecollettivo su Facebook
  • Visualizza il profilo di @collet_antigone su Twitter

Redazione

  • antigoneblog2015
  • babybutterfly04
  • claudialaferla
  • cristallina555
  • francescacola
  • morfea
  • orukov

Articoli recenti

  • A scuola di resistenza e resilienza generativa, il “Permaculture Design Certificate Course”
  • Piccolo viaggio alla scoperta della frontiera sud
  • Le radici contano solo se sei un albero
  • Agricoltura sostenibile e cambiamento climatico in Burkina Faso
  • Take her away. Away from here

Commenti recenti

simona su Un anno di scuola con Antigone…
Cristina Mattiello su Ai fratelli sconosciuti morti…
Agnes su Siamo tutti terroristi?
Hauke Lorenz su ViaCrucis Migrante
Anna Teresi su Un uomo di nome Giacinto. Un s…

Archivi

  • luglio 2019
  • giugno 2019
  • Mag 2019
  • aprile 2019
  • marzo 2019
  • gennaio 2019
  • dicembre 2018
  • novembre 2018
  • ottobre 2018
  • settembre 2018
  • agosto 2018
  • luglio 2018
  • giugno 2018
  • Mag 2018
  • aprile 2018
  • marzo 2018
  • febbraio 2018
  • gennaio 2018
  • dicembre 2017
  • novembre 2017
  • ottobre 2017
  • settembre 2017
  • agosto 2017
  • luglio 2017
  • giugno 2017
  • Mag 2017
  • aprile 2017
  • marzo 2017
  • febbraio 2017
  • gennaio 2017
  • dicembre 2016
  • novembre 2016
  • ottobre 2016
  • settembre 2016
  • agosto 2016
  • luglio 2016
  • giugno 2016
  • Mag 2016
  • aprile 2016
  • marzo 2016
  • febbraio 2016
  • gennaio 2016
  • dicembre 2015
  • novembre 2015
  • ottobre 2015
  • settembre 2015
  • agosto 2015
  • luglio 2015
  • giugno 2015

Categorie

  • #MeToo
  • 2016
  • 2017
  • 2018
  • 2019
  • Africa
  • Ai Weiwei
  • Alberto Caviglia
  • Alejandro González Iñárritu
  • Alessandra Lucca
  • Alessia Alicata
  • Alessio Mamo
  • Alterrative
  • Ambiente
  • America Latina
  • Andrea Lucheroni
  • Andrew Wakeford
  • Annalisa Imperi
  • Anonimous
  • Anonyme
  • Anti-Militarismo
  • Antifascismo
  • antisemifobia
  • antisemitismo
  • Antonella Taravella
  • Antonio Parrinello
  • Apolidia
  • Architettura
  • Arruolamento forzato
  • Arte
  • Asia
  • Associazione italiana psichiatria sociale
  • Augusta
  • Aurora di Grande
  • Auschwitz
  • autodeterminazione
  • Babel
  • Balkan Route
  • Bambini soldato
  • Baobab Camp
  • Baobab Experience
  • Basilicata
  • Bologna
  • Bonnections
  • BonnLab
  • Burkina Faso
  • Carla Colombo
  • Children of Fortune
  • Children's Day
  • Chivasso
  • Christoph Probst
  • Cina
  • Cinéma du Desert
  • Cinema
  • Cinema africano
  • Cinema coreano
  • Cinema Italiano
  • Cinema Maliano
  • Cinema Messicano
  • Cinema palestinese
  • Cinema postcoloniale
  • Cinema siciliano
  • Claudia La Ferla
  • Claudio Beorchia
  • Collaborazioni
  • Collettivo Antigone
  • Collettivo's Words
  • Coltan
  • Como
  • Congo
  • Cooperativa Sicomoro
  • Crazy for football
  • Crazy for football-il libro
  • Cristina Monasteri
  • Daniel Libeskind
  • Daniela Mussano
  • Decolonizzazione
  • Denis Bosnic
  • Denis Mukwege
  • Desaparecidos
  • Deutsch
  • deutsche Widerstand
  • DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO E DEL CITTADINO
  • Die weiße Rose
  • DIE ZEIT ONLINE
  • Disobbedienza
  • Dissidenti
  • Domenico Monteleone
  • Doumbia
  • Egon Schiele
  • Eleonora Rossi
  • Elisa Springer
  • Elisabetta Evangelisti
  • Else Gebel
  • Emerson Marinho
  • English
  • Ernesto Montero
  • Esilio
  • español
  • Etiopia
  • Eventi
  • Events
  • Exile
  • Federica Loddi
  • Federica Simeoli
  • Federico Scoppa
  • Firenze
  • Fotogiornalismo
  • Français
  • Francesca Colantuoni
  • Francesco Faraci
  • Francesco Malavolta
  • Fred George
  • Free Open Arms
  • French
  • Frontiera
  • Fuocoammare
  • Gambia
  • Gaza
  • Giacomo d’Aguanno
  • Giada Pasqualucci
  • Gianfranco Rosi
  • Gianmarco Catalano
  • Giornata della Memoria 2017
  • Giornata della Memoria 2019
  • Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne
  • Giornata Internazionale del Rifugiato
  • Giornata Internazionale delle Donne 2018
  • Giorni della Memoria
  • Giorni delle Donne
  • Giulio Regeni
  • Go Back to Your Country
  • Guerra
  • Guinea
  • Hans Scholl
  • Hauke Laurenz
  • I figli della fortuna
  • I Giorni della Madre
  • I giorni della Madre 2018
  • I Giorni della Memoria 2018
  • I Giorni della Memoria 2019
  • I Giorni delle Donne, 2017
  • Il Corpo delle Donne
  • Il silenzio dei vivi
  • Innenansichten aus Syrien
  • IOM / OIM
  • Islam
  • Jüdisches Museum Berlin
  • Jean-Claude Chincheré
  • Johanna Schäfer
  • Jugend rettet
  • Julie Ristic
  • Kenya
  • Kevin McElvaney
  • Kim Ki-duk
  • L'isola che non c'è
  • La Macchina Sognante
  • La memoria del futuro
  • La Palermo degli Ultimi
  • La Rosa Bianca
  • Larissa Bender
  • Lavoro Minorile
  • Les enfants de la Fortune
  • Leva obbligatoria
  • Libano
  • Life Jacket Project
  • ll Corpo delle Donne
  • Lorenzo Tondo
  • Luana Bruno
  • Lucia Cupertino
  • MA-EC
  • Madri
  • Madri di Plaza de Mayo
  • Mali
  • Marc Rothemund
  • Margine Protettivo
  • MariaGrazia Patania
  • Marina Galici
  • Marta Bellingreri
  • Marzamemi
  • Massimo Micheli
  • MateriaPrima
  • Maternità Universale
  • MB
  • MEDIPERlab
  • MEDU-Medici per i Diritti Umani
  • Mely Kiyak
  • Messico
  • MeToo
  • Michael
  • Michael Verhoeven
  • Michela Gentile
  • Michelangelo Mignosa
  • Milano
  • Mockumentary
  • Monaco
  • Mostre
  • Mostre fotografiche
  • Muros
  • Musica
  • Nazismo
  • No Tav
  • Olocausto
  • Olocausto del Mare
  • Ornella SugarRay Lodin
  • Oswiecim
  • Pablo Neruda
  • Palermo
  • Panzi Hospital Congo
  • Papis
  • Parole del Collettivo
  • Pecore in Erba
  • Periferie urbane
  • Permacultura
  • Photography
  • Plaza de Mayo
  • Poesia
  • Português
  • postcolonial cinema
  • Prigioni
  • Progetti
  • Projects
  • Puglia
  • Punta Izzo Possibile
  • R-esistenza
  • Radio Bonn
  • Ramadan
  • Rami
  • Razzismo
  • Refaei Shikho
  • RefugeeCameras
  • Refugees Welcome
  • Resistenza tedesca
  • Restiamo umani
  • Riccardo Pareggiani
  • Roberta Conigliaro
  • Roberta Indelicato
  • Rodrigo Galvàn Alcala
  • Roma
  • Scultura
  • Scuole Verdi Augusta
  • Segregazione
  • Senza categoria
  • Sguardi dalla Siria
  • Sicilia
  • Simona D'Alessi
  • Siria
  • Sophie Scholl
  • Sostenibilità
  • Souleymane Cissé
  • Spanish
  • Stati Uniti
  • Stay Human
  • Stealthing
  • Street Art
  • Sudan
  • Sylvie Pavoni
  • syria
  • Tamara de Lempicka
  • Teatro
  • Teatro Atlante
  • Teatro dell´assurdo
  • Terremoto
  • Testimonianze
  • The Dawn of Recovery – MSF Giordania
  • Torino
  • Tornate a Casa Vostra
  • Traduzioni
  • Translations
  • Ugo Borga
  • Uomo Vs Soldato
  • Valentina Rossi
  • Valentina Tamborra
  • Valerio Bispuri
  • ViaCrucis Migrante
  • VOCES DE SIRIA
  • Voices from Syria
  • Willi Graf
  • Women's Day
  • WordSocialForum
  • World Press Photo 2018
  • Yacob Fouiny
  • Youba
  • Zentrum für politische Schönheit
  • Ziad Homsi

Meta

  • Registrati
  • Accedi
  • Flusso di pubblicazione
  • Feed dei Commenti
  • WordPress.com

Crea un sito o un blog gratuitamente presso WordPress.com.

Annulla
Privacy e cookie: Questo sito utilizza cookie. Continuando a utilizzare questo sito web, si accetta l’utilizzo dei cookie.
Per ulteriori informazioni, anche sul controllo dei cookie, leggi qui: Informativa sui cookie