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La Germania al bivio

16 sabato Apr 2016

Posted by orukov in 2016, Collettivo Antigone, DIE ZEIT ONLINE, MariaGrazia Patania, Mely Kiyak, Olocausto del Mare, Parole del Collettivo, R-esistenza, Radio Bonn, Refugees Welcome, Senza categoria, Traduzioni

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Antigone, bellezza, Collettivo Antigone, DIE ZEIT ONLINE, MariaGrazia Patania, Mely Kiyak, Olocausto del Mare, Parole, Radio Bonn, Traduzioni

Un paese parla a se stesso: le nostre capacità, la nostra fattibilità e le nostre risorse sono al centro del dibattito sui rifugiati.

A prescindere dal fatto che “noi”, cittadini tedeschi, possiamo farcela o meno, potremmo anche iniziare a chiederci: Ce la faranno loro?

Ce la faranno i rifugiati?

Perché in Germania non ci interroghiamo mai sulle perdite e le sofferenze che hanno patito i rifugiati? Perché nessun talk-show tedesco parla della prospettiva dei rifugiati? Perché sappiamo così poco della sfera privata degli Iracheni, degli Afghani, dei Siriani benchè il nostro paese ne ospiti ormai migliaia? Dovrebbero essere loro i nostri corrispondenti politici. Solo loro riuscirebbero a descrivere dettagliatamente cosa hanno vissuto e quali prospettive politiche si augurano o auspicano per la loro stessa patria.

No, tutte le discussioni, le speculazioni teoriche e le soluzioni politiche vengono elaborate dalla prospettiva dei tedeschi: un cane che si morde la coda. Tutto ruota attorno alla paura che “noi” abbiamo di “loro”, gli stranieri. Attorno alla stanchezza dei nostri soccorritori, ai timori dei nostri politici, alle azioni intraprese dai nostri comuni, alle soluzioni che “noi” dobbiamo trovare di concerto coi dittatori locali. Al centro di tutti i dibattiti ci sono sempre le nostre capacità, fattibilità e risorse: in breve, noi.

I richiedenti asilo in cerca di protezione nel nostro paese vengono avvertiti che avranno la possibilità di far sentire la propria voce e che tramite continue proteste potranno lottare per una vita decente in Germania. Niente è scontato: non il pane, non l’acqua, non una tenda riscaldata, non le coperte, non le medicine. Non è stato certamente lo stato a prendersi cura dei rifugiati, quanto piuttosto i cittadini che –in aperta opposizione ad uno stato assente- si sono occupati di fornire assistenza in situazioni di emergenza e primo soccorso.

I partiti politici al momento non si fanno alcuno scrupolo ad integrare nel proprio programma posizioni dell’estrema destra. Ma se ne fanno molti di contro ad esprimersi pubblicamente per garantire i rifugiati. Il che comporta un peggioramento della situazione relativa al diritto all’asilo nel quadro di una legislazione  praticamente assente.

E’ tutta una questione di prospettiva. Attualmente il discorso procede in modo tale che l’accoglienza dei rifugiati sia stata piuttosto risicata perchè tutto ciò che torna loro utile –fra cui vaccinazioni o istruzione obbligatoria – viene presentato come un provvedimento che si è stati costretti ad adottare. Quasi nessuno si sogna di dire: è un onore per me fare tutto l’umanamente possibile per i rifugiati. Ciò che hanno vissuto i rifugiati non lo sapremo mai, tuttavia lo si può immaginare da un punto di vista sociale e psicologico. Il rifiuto e la svalutazione nei sistemi sociali generano sentimenti di impotenza. E tale impotenza costituisce un materiale esplosivo per le generazioni future. Chi vive ai margini è una persona sensibile e prima o poi capirà di non essere gradito.

Biani

Quando Jens Spahn del CDU afferma che accogliere altri profughi significherebbe distruggerci «politicamente e culturalmente», non si tratta più di politica bensì di un ritorno allo stadio primitivo. I rifugiati vengono da paesi in guerra. Loro sono politicamente e culturalmente distrutti. Non noi sicuramente. Loro vengono dall’Iraq, dall’Afghanistan, dalla Siria e hanno vissuto esperienze a cui molti non sopravvivono. Proprio per questo sono venuti qui Iracheni, Siriani e Afghani che –a ben vedere- hanno svariate religioni ed etnie.

Il discorso sui “milioni di musulmani in Germania” non ha alcun legame con la realtà. Innanzitutto perchè non sono tutti musulmani. E anzi alcuni si sono trovati a vivere situazioni di tensione sociale nei paesi d’origine proprio per questo. Insomma alcuni Siriani sono semplicemente Curdi e alcuni Curdi sono Jazidi e alcuni Jazidi sono Iracheni e alcuni Iracheni sono cristiani. Ma noi non vogliamo manco saperlo. Ci interessa soltanto presentare delle immagini agghiaccianti e discutere in televisione  su come possiamo proteggerci dalle aggressioni dei rifugiati.

L’atmosfera generale è isterica e meschina. Stando alle ultime impressioni, sembra che la Germania abbia dimenticato cosa provochino guerre e esili. Abbiamo dimenticato come fare nostro il dolore altrui. Tuttavia questo esercizio della memoria costituisce la condizione preliminare della solidarietà.

Traduzione di Maria Grazia Patania

Testo originale di Mely Kiyak, DIE ZEIT ONLINE


Radio Bonn è una sezione nuova che ci servirà per raccontare che aria tira in Germania tramite traduzioni di testi in lingua di cui troverete sempre il link all’originale per poter risalire alla fonte ed eventualmente segnalare errori o imprecisioni. Il testo d’esordio lo trovate qui.

Nota della Traduttrice: Tradurre dal tedesco mi pone sempre di fronte a molti interrogativi relativi alla validità del testo finale che, purtroppo, non viene nemmeno rivisto mancandomi una collega di riferimento. Tuttavia, ho deciso di concedermi il lusso di sbagliare e considerare i testo tradotti dal tedesco come un laboratorio cui chi ci legge può partecipare con osservazioni e suggerimenti. Contravvenendo alla regola aurea del traduttore, ho creduto che fosse più importante parlare piuttosto che tacere.

Non nascondiamoci dietro i sopravvissuti

19 venerdì Feb 2016

Posted by orukov in 2016, Collettivo Antigone, DIE ZEIT ONLINE, Mely Kiyak, Olocausto del Mare, Parole del Collettivo, Progetti, R-esistenza, Radio Bonn, Refugees Welcome, Restiamo umani, Traduzioni

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Antigone, Collettivo Antigone, DIE ZEIT ONLINE, MariaGrazia Patania, Mely Kiyak, Olocausto del Mare, Parole, Traduzioni

Perchè non discutiamo di un livello massimo di decessi? Il dibattito sui migranti lo chiarisce bene: si è deciso di proteggere le frontiere e non le persone.

Raramente nelle dichiarazioni ufficiali dei politici la verità viene dissimulata così profondamente come nelle seguenti dichiarazioni: Proteggere le frontiere esterne. Chiudere le frontiere. Ridurre le quote dei migranti.

Il dibattito sui rifugiati rappresenta una semplice descrizione tecnica per evitare di usare le parole che andrebbero realmente usate. La nostra lingua è molto precisa. Noi non riduciamo il numero di rifugiati. No, noi respingiamo persone in fuga. Noi non proteggiamo le frontiere esterne quando in Bulgaria o nella periferia dell’Unione Europea erigiamo barriere di filo spinato. No, noi respingiamo persone in fuga. Noi non stiamo semplicemente a guardare mentre vengono chiuse le frontiere nazionali degli stati europei. No, noi respingiamo persone in fuga.

Nel mondo ci sono 60 milioni di persone attualmente in fuga. La stragrande maggioranza di esse a causa della guerra, della penuria di risorse alimentari e della estrema povertà non ha nè le possibilità finanziarie nè la libertà di movimento per arrivare in Europa. I più arrivano nelle aree limitrofe o in qualche paese confinante. Quasi nessuno può lasciare il continente.

In grossi campi (orig: Lager) che funzionano esattamente come le realtà che rievocano o, ancora, in campi di prima accoglienza che funzionano come delle prigioni, vige la più assoluta discrezione da parte dello stato o della organizzazione che si occupa di queste persone.

Che si tratti di un campo profughi delle NU in Africa o in Libano, le persone vengono spogliate, perquisite, private dei passaporti o del denaro, degradate al livello di materiale umano privo di diritti e curate solo se strettamente necessario. Così che non muoiano proprio adesso. I nostri governi hanno deciso di non investire in queste strutture. Quando qualcuno abbandona i campi di prima accoglienza, lo fa perchè noi non investiamo abbastanza denaro per mettere fine alla fame nel mondo. O meglio: noi paesi contribuenti siamo responsabili degli stenti che i profughi patiscono nei campi dove vengono rinchiusi.

Soltanto 5 milioni di migranti – stando alla più generosa delle stime- si fermano attualmente in Europa. Alcuni si muovono in Europa da Europei. Inoltre ci sono paesi nei Balcani in cui il traffico di droga e esseri umani, inasprisce episodi di discriminazione e persecuzione soprattutto nei confronti della comunità Rom. Noi, come paesi che per primi hanno aderito al progetto di una Europa unita, abbiamo deciso di ignorare questa realtà e di non reagire politicamente.

Da parte nostra abbiamo sottoposto questa quota ridicola di persone che vogliono raggiungere l’Europa o la Germania alle misure sovracitate: Chiusura delle frontiere nazionali. Protezione delle frontiere esterne. Diminuzione delle quote di migranti.

La conseguenza è che uomini e donne, giunti in Europa dopo una pericolosissima traversata del Mediterraneo, vengono respinti in ogni angolo del continente proprio da noi che abbiamo avuto l’idea di chiudere le frontiere tramite norme per regolamentare il loro ingresso o tramite la chiusura delle stesse frontiere con armi e filo spinato.

Accettiamo che le persone muoiano.

Il motivo è semplice: abbiamo deciso di proteggere le frontiere.

Diminuire le quote di rifugiati e chiudere le frontiere vuol dire non garantire i diritti umani, non considerarli diritti universali validi per tutti gli esseri umani in ogni epoca. Chiudere le frontiere non significa abbassare una sbarra quanto piuttosto accettare che le persone muoiano. Perchè devono risalire sui barconi e attraversare nuovamente il Mar Mediterraneo. Chi sopravvive al viaggio di andata potrebbe non sopravvivere a quello di ritorno. Chi non è morto di fame o stanchezza sulla rotta balcanica verso l’Europa potrebbe farlo sulla via del ritorno.

Quando parliamo di chiudere le frontiere abbiamo a che fare con la vita umana. Chiudere le frontiere e ridurre le quote di rifugiati vuol dire nient’altro che uccidere. E’ questa l’espressione corretta per descrivere la situazione sottintesa da questi termini tecnici e ben studiati. Una volta preso atto di ciò, bisogna anche avere il coraggio di usare questa espressione tagliente come lama. A quel punto non ci saranno più dibattiti sulla “richiesta di un tetto massimo di profughi” o “di una quota giornaliera”, ma si parlerà del numero di persone a cui concediamo una vita degna. Dai nostri politici dobbiamo esigere un linguaggio preciso. Dobbiamo costringere tutti i politici a definire il numero esatto di persone che non intendono far passare alle frontiere. Devono fare la conta esatta dei morti. Non devono più nascondersi dietro chi si è salvato, ma rispondere di chi non ce l’ha fatta, di chi è rimasto invalido o abbandonato a se stesso.

Traduzione di Maria Grazia Patania

Testo originale di Mely Kiyak, DIE ZEIT ONLINE


Radio Bonn è una sezione nuova che ci servirà per raccontare che aria tira in Germania tramite traduzioni di testi in lingua di cui troverete sempre il link all’originale per poter risalire alla fonte ed eventualmente segnalare errori o imprecisioni.

Nota della Traduttrice: Tradurre dal tedesco mi pone sempre di fronte a molti interrogativi relativi alla validità del testo finale che, purtroppo, non viene nemmeno rivisto mancandomi una collega di riferimento. Tuttavia, ho deciso di concedermi il lusso di sbagliare e considerare i testi tradotti dal tedesco come un laboratorio cui chi ci legge può partecipare con osservazioni e suggerimenti. Contravvenendo alla regola aurea del traduttore, ho creduto che fosse più importante parlare piuttosto che tacere.

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