• About Collettivo Antigone
  • Arte & Bellezza
  • Babel: other languages
  • Cinema
  • Contributors
  • Cookie Policy
  • Disobbedienza e Resistenza civile
  • English
  • I Figli della Fortuna
  • Il Corpo delle Donne
  • Muros
  • Our team
  • Programmazioni
  • Radio Bonn

Collettivo Antigone

~ Proteggere e custodire le leggi naturali di ogni essere vivente

Collettivo Antigone

Archivi della categoria: Olocausto del Mare

Cos’è successo quando i migranti si sono trasferiti nel paesino siciliano della mia famiglia

25 venerdì Gen 2019

Posted by francescacola in 2019, Africa, Alessio Mamo, Antifascismo, antisemifobia, antisemitismo, Auschwitz, Collettivo Antigone, Francesca Colantuoni, Giorni della Memoria, I Giorni della Memoria 2019, Lorenzo Tondo, Nazismo, Olocausto, Olocausto del Mare, Razzismo, Refugees Welcome, Senza categoria, Sicilia, Tornate a Casa Vostra, Traduzioni

≈ Lascia un commento

Tag

Africa, Alessio Mamo, Antigone, Collettivo Antigone, Francesca Colantuoni, I Giorni della Memoria 2019, Olocausto, Olocausto del Mare, Refugees Welcome, Restiamo umani, Testimonianze, The Guardian, The Observer, Traduzioni

Sutera in Sicilia. Fotografia di Alessio Mamo per il The Observer

I rifugiati stanno dando una nuova vita alla morente città natale del suocero di Lorenzo Tondo. Se solo la destra in ascesa riuscisse a capirlo.

Di Lorenzo Tondo
Sabato 27 ottobre 2018 – The Guardian

Ogni pomeriggio alla stessa ora, seduto sulla stessa panchina, mio suocero Rosario Buttaci, guarda in silenzio John Babalola Wale e la sua famiglia incamminarsi sul ripido sentiero del paesino di Sutera che porta da piazza Europa al vecchio quartiere arabo Rabato.

Ai tempi di Rosario, lo “straniero” che veniva in questo pittoresco paesino siciliano arrivava da Palermo, distante 100 km, o dalla vicina Agrigento. Ma Wale, 35 anni, viene dallo stato di Ekiti, in Nigeria e ha raggiunto Sutera quattro mesi fa dopo un viaggio lungo 6000 km. Ora vive con sua moglie e un figlio, come decine di africani richiedenti asilo arrivati dal continente per vivere qui.

“Il mondo sta cambiando”, dice Rosario, architetto in pensione di 65 anni nato, cresciuto e desideroso di invecchiare in questo paesino, come ha fatto la sua famiglia per generazioni. “E Sutera è parte di questo cambiamento”.

Alla fine degli anni ’50, quando Rosario era un ragazzo, a Sutera vivevano 5000 persone e c’erano 5 alimentari, 5 taverne, un calzolaio e un fabbro. “Al tramonto le strade si riempivano di minatori e contadini e le luci delle taverne restavano accese fino a tarda sera”, ricorda. “Sutera era viva, si aveva la sensazione che nulla avrebbe mai potuto cambiare quell’atmosfera gioiosa e accogliente”.

Ma il cambiamento arrivò. Le miniere di zolfo presenti nella valle chiusero e l’agricoltura industriale sostituì i muli e i contadini. La gente di Sutera iniziò ad emigrare in tutta Europa alla ricerca di lavoro, spesso nella cittadina di Dillingen in Germania, o a Woking nel Surrey, dove ancora oggi risiede una numerosa comunità Suterese. Così, Sutera è pian piano divenuta una cittadina fantasma.

“Il mondo sta cambiando”. Rosario Buttaci sulle strade del paesino dove è nato e cresciuto . Fotografia di: Alessio Mamo per il the Observer

Anche mio suocero aveva programmato il suo viaggio: sarebbe andato da suo padre, che l’anno precedente si era trasferito a Herrenberg a sud della Germania dove lavorava come muratore. Ma il 4 giugno 1963, solo qualche mese prima dell’arrivo in Germania di sua moglie e dei loro quattro figli, morì in un incidente sul lavoro. Rosario, che allora aveva 11 anni, non lasciò mai Sutera e fu costretto a disfare la valigia e attendere l’arrivo della bara di suo padre.

Oggi, dopo più di mezzo secolo, la popolazione di Sutera si è ridotta a 1200 abitanti. Mio suocero è uno di loro. Vi ha trascorso tutta la sua vita, ha assistito al graduale spopolamento del paesino che anno dopo anno rischia di scomparire dalla faccia dell’Italia. (Non è una rarità: secondo i dati forniti dall’Associazione Nazionale dei Comuni italiani, negli ultimi sei anni quasi 80.000 cittadini hanno abbandonato le cittadine italiane con meno di 5000 abitanti).

Eppure, la storia a volte si ripete in senso contrario. A ottobre 2013, un barcone pieno di migranti e rifugiati si capovolse nel Mediterraneo: morirono 368 persone e i loro corpi meritavano una degna sepoltura. Sutera, quasi completamente abitata da anziani, aveva già da tempo esaurito i posti al cimitero. Tuttavia, sebbene non ci fosse spazio per i morti, ve ne era molto per i vivi da ospitare nelle centinaia di case lasciate vuote da coloro che avevano abbandonato il paesino per andare all’estero alla ricerca di lavoro. Nel 2014, il sindaco di Sutera consentì che lo stato italiano sistemasse i richiedenti asilo nelle case vuote della sua comunità. Sutera entrò a far parte di un programma di reinsediamento che finanzia le città che ospitano un certo numero di migranti. Come Wale e la sua famiglia.

Famiglie dal Mali e dalla Nigeria a lezione di italiano nella scuola di Sutera. Fotografia di: Alessio Mamo per il The Observer

La scorsa settimana, nel tardo pomeriggio, ho fatto una passeggiata con il nigeriano proveniente da Ayede Ekiti. Appoggiato a una ringhiera, guardava un gruppo di anziani seduti su una panchina e mi diceva che se cinque anni fa qualcuno gli avesse detto che presto avrebbe vissuto in un piccolo paesino siciliano, lui gli avrebbe riso in faccia.

“Assolutamente! Pensavo che avrei vissuto tutta la vita nello stato di Eskiti. Non avrei mai immaginato che un giorno avrei lasciato la mia casa in Nigeria”. Poi, però, dopo la morte dei suoi genitori, non avendo più un posto dove vivere, Wale e la sua famiglia dovettero partire. Si trasferirono in Libia dove Wale lavorava. “Ma le cose non andavano bene in Libia, rischiavamo la vita tutti i giorni”, disse. “Ecco perché decidemmo di venire in Italia. Sono felice qui. Mi considero fortunato. Non vedo l’ora di iniziare a lavorare”.

Per Sutera, alle falde del monte San Paolino nel centro Sicilia, l’arrivo dei migranti è stato una benedizione. La scuola locale rischiava la chiusura perché c’erano solo pochi studenti ma, grazie ai figli dei richiedenti asilo, è rimasta aperta. Ora il paesino è modello di integrazione replicato in diverse città italiane, compresa Riace in Calabria. Qui, il sindaco della città, “Mimmo” Lucano, ha accolto centinaia di migranti i quali, in cambio, hanno portato investimenti nella città.

Il nigeriano John Babalola Wale con sua moglie e suo figlio nella casa a Sutera. Loro con altri migranti proveninti dall’Africa stanno aiutando a ripopolare il paesino. Fotografia di Alessio Mamo per il The Observer

Ma per la destra anti-immigrazione, queste comunità rappresentano la catastrofe del 21esimo secolo: la dispersione degli italiani causata dagli stranieri. Alcuni hanno subito approfittato per diffondere allarmanti storie sul presunto legame tra l’arrivo dei migranti e l’aumento di furti e omicidi. Il ministro degli Interni di estrema destra, Matteo Salvini, non perde mai l’occasione di evidenziare i crimini commessi dai richiedenti asilo sul suo profilo Twitter, ignorando quelli commessi dagli italiani stessi.

Ho pensato alla sua retorica dell’odio mentre guardavo Wale appoggiato al busto di marmo di un poliziotto locale, Calogero Zucchetto, ucciso dalla stessa mafia siciliana che l’Italia ha esportato in tutto il mondo. Ho anche pensato al boss mafioso di New York, Lucky Luciano, il quale non proveniva dallo stato di Ekiti ma da Lercara Friddi, a soli 30 minuti da Sutera.

La scorsa settimana, mentre passeggiavamo per il villaggio, Wale aspettava i documenti necessari per iniziare a cercare lavoro. Rosario ed io lo guardavamo giocare con il figlio in piazza. In quel momento ho capito che quel bimbo nigeriano di due anni aveva più cose in comune con mio suocero di qualsiasi altro italiano. Quel bambino, 50 anni fa, sarebbe potuto essere lui a Herrenberg – se una gru non avesse tolto la vita a suo padre.

Non ebbi il coraggio di chiederglielo ma vidi il suo sorriso mentre guardava il piccolo giocare con la palla. Per me, quel sorriso, valeva più di mille risposte.

 

Traduzione di Francesca Colantuoni

Il Giorno della Memoria è ogni giorno.

24 giovedì Gen 2019

Posted by babybutterfly04 in 2019, Alessia Alicata, I Giorni della Memoria 2019, Olocausto, Olocausto del Mare, Senza categoria

≈ Lascia un commento

Tag

alessia alicata, Auschwitz, Collettivo Antigone, Olocausto, Olocausto del Mar

*Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell’aria. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia: sarebbe sciocco negarlo. In questo libro se ne descrivono i segni: il disconoscimento della solidarietà umana, l’indifferenza ottusa o cinica per il dolore altrui, l’abdicazione dell’intelletto e del senso morale davanti al principio d’autorità, e principalmente, alla radice di tutto, una marea di viltà, una viltà abissale, in maschera di virtù guerriera, di amor patrio e di fedeltà a un’idea.
[Primo Levi]

Qualcuno ha tentato di negare l’Olocausto, una delle pagine peggiori della storia dell’umanità. Certo, sarebbe un sollievo immaginare di essere stati ingannati e che, non solo nella realtà un tale male non si sia mai manifestato, ma soprattutto che un tale sentimento di odio possa non appartenere all’animo dell’essere umano.

Purtroppo non è andata così.

Purtroppo l’essere umano sa essere crudele e spesso incapace di discernere il bene e il male, per egoismo o solo (e questo forse è il suo peccato peggiore) per ignoranza.

Ci chiudiamo nel nostro piccolo mondo mediocre, in cose spesso futili ed effimere. Intanto le persone sono morte e noi ne commemoriamo la memoria, impotenti di fronte a ciò che ormai è storia. In fondo noi neppure c’eravamo.

Eppure il mare ci dice che l’Olocausto non è mai finito. Il Giorno della Memoria non ci ricorda davvero qualcosa di atroce, perché se così fosse, un male così grande e così assurdo, non avrebbe mai dovuto ripetersi. Ma si ripete ogni giorno e ogni giorno dimentichiamo coloro che non ci sono più col nostro atteggiamento, ostile o inetto che sia.

Non sono solo io a dirlo, ma la voce di Liliana Segre, una donna che ha certamente tutta la consapevolezza che manca a noi che possiamo solo immaginare, ma non sapere; noi che leggiamo sui libri di storia, ma non abbiamo visto i volti, né sentito le voci di una dolore così inenarrabile che solo provare a metterlo in parole lo cambia, lo placa, lo allontana.
“Il razzismo e l’antisemitismo non sono mai sopiti, solo che si preferiva nel dopoguerra della ritrovata democrazia non esprimerlo. Oggi è passato tanto tempo, quasi tutti i testimoni sono morti e il razzismo è tornato fuori così come l’indifferenza generale, uguale oggi come allora quando i senza nome eravamo noi ebrei. Oggi percepisco la stessa indifferenza per quelle centinaia di migranti che muoiono nel Mediterraneo, anche loro senza nome, e ne sento tutto il pericolo“.

Senza nome. Troppi morti senza nome.

Tra questi, alcuni di loro, sono rappresentati a Budapest dove, il 16 aprile del 2005, è apparsa lungo il Danubio, un’installazione intitolata Scarpe sulla riva del Danubio (in ungherese Cipők a Duna-parton).

(Foto da web)

Si tratta di un’opera realizzata dal regista Can Togay e lo scultore Gyula Pauer, in occasione della Giornata della Memoria ungherese, sul lato Pest della capitale: 60 paia di scarpe in ferro di vario tipo per sottolineare come l’Olocausto non abbia risparmiato nessuno e coinvolto uomini, donne e bambini.
L’installazione intende ricordare il massacro che ha visto vittime i cittadini ebrei ungheresi che, durante la seconda guerra mondiale, furono uccisi dai soldati del Partito delle Frecciate, la milizia ungherese che agiva in collaborazione con i nazisti. Dopo aver individuato gli Ebrei, la milizia decise di sterminarli direttamente nella loro città a colpi di pistola, portandoli sulla riva del fiume. Vennero legati tra loro in gruppi in modo che, fatto fuori uno, questo trascinasse gli altri con sé; i corpi vennero quindi gettati nel fiume, lasciando che fosse il Danubio a portarli via. Prima di sparare, però, tolsero loro le scarpe per poterle vendere al mercato nero durante la guerra.
Lungo l’installazione si trovano tre targhe commemorative, sempre in ferro, che riportano in lingua ungherese, inglese ed ebraica: “Alla memoria delle vittime gettate nel Danubio dai miliziani della Croce Frecciata nel 1944-45.”

(Foto da web)

Senza nome. Troppi corpi senza nome allora come ora.
Eppure noi non abbiamo più il deterrente del non sapere e del non vedere. Oggi noi tutti sappiamo, anche se ci voltiamo dall’altra parte. Gli Ebrei e il male che hanno subìto avrebbero forse potuto avere un senso se il mondo avesse imparato, se fossimo guariti dall’indifferenza, se fossimo diventati migliori come individui e come umanità. O forse no, forse il male senza senso rimane senza senso sempre e comunque, ora come allora.

In un futuro, probabilmente ancora troppo lontano, l’umanità ci guarderà con disprezzo e ci riterrà colpevoli di tutto ciò di cui siamo, direttamente o indirettamente, responsabili. Forse, così come il Danubio era considerato il “cimitero degli Ebrei”, il Mediterraneo sarà identificato con il “cimitero dei migranti” (ma la verità è che lo è già) e sulle coste italiane apparirà un monumento a ricordarci cosa è accaduto, quando ci credevamo civili ed evoluti, quando celebravamo il Giorno della Memoria per la Shoah, fingendo che i morti di allora fossero diversi da quelli di oggi.

Immagino tanti giubbotti di salvataggio in uno dei porti chiusi, a ricordare tutti quelli che potevamo salvare e che abbiamo lasciato morire. Allora nessun motivo che oggi riteniamo legittimo ci salverà dalla vergogna di aver lasciato che tutto ciò accadesse, non come italiani, né come Europa, ma semplicemente come esseri umani verso altri essere umani.

Photo copyright Francesco Malavolta

I morti sono morti, che i cadaveri siano portati via dal Danubio o dispersi nel Mediterraneo. Così come gli uomini sono uomini, con una memoria troppo spesso troppo corta.

di Alessia Alicata

*Tengo a precisare, a scanso di equivoci, che non intendo paragonare lo sterminio degli Ebrei alla condizione dei migranti e, a tal proposito, mi associo a quanto scritto da Cristina Monasteri. La mia intende essere una riflessione sull’indifferenza umana e sulla nostra assoluta mancanza di empatia verso chi subisce ingiustizie e atrocità.

Non è la stessa cosa

23 mercoledì Gen 2019

Posted by cristallina555 in 2019, Augusta, Auschwitz, Collettivo Antigone, Cristina Monasteri, Disobbedienza, Fotogiornalismo, Frontiera, Giornata della Memoria 2019, Giorni della Memoria, I Giorni della Memoria 2019, La memoria del futuro, Muros, Nazismo, Olocausto, Olocausto del Mare, Oswiecim, Photography, Prigioni, R-esistenza, Razzismo, Refugees Welcome, Restiamo umani, Segregazione, Senza categoria, Stay Human, Torino, Tornate a Casa Vostra

≈ Lascia un commento

Tag

Albania, Arbeit Macht Frei, Borders, Claviere, Collettivo Antigone, Confine liquido, Francia, indesiderabili, Modigliani, Monginevro, Montgenevre, Olocausto, Olocausto del Mare, olokautosis, Salvatore Cavalli, Visegrad, Vlora

Tante, troppe volte abbiamo paragonato le morti in mare all’Olocausto.
Un nuovo Olocausto, l’Olocausto del mare come spesso abbiamo scritto su Antigone, sbagliavamo: non esiste un Olocausto del mare.

Le parole sono importanti, lo dico almeno una volta al giorno.
Olokautosis, in greco “bruciato intero”, deriva dal rituale del holokautein durante il quale la vittima sacrificale veniva arsa al fine di ingraziarsi gli dèi.
È evidente come quello del mare non sia un Olocausto visto che non vi è alcuna pianificazione dell’eliminazione fisica; non è stata decretata alcuna Soluzione Finale perciò non possiamo parlare di Olocausto.
Se l’assetto democratico della comunità europea continuerà a subire attacchi quotidiani tramite il ribaltamento di ogni significato attraverso la propaganda, aizzando le fasce più deboli della popolazione contro un nemico “altro”, allora non escludo che i posteri potranno titolare quest’epoca come prodromo all’Olocausto del mare.
Ora no, non si può dire perché non è la stessa cosa.
I campi in Libia non possono essere paragonati ai campi di concentramento nazisti: non ci sono tatuaggi sulle braccia dei prigionieri ma segni di elettrochoc e bruciature di sigaretta, stupri, frustate, digiuni e ogni tipo di tortura fisica e psicologica. Non ci sono file di baracche di legno in mezzo al fango, solo gabbie o celle o filo spinato (ma quello c’era anche nei lager). Non ci sono le SS coi cani e i fucili e i loro ordini urlati senza tregua, ci sono solo trafficanti di schiavi e una guardia costiera farsesca finanziata per impedire all’umanità di attraversare il mare.
Non possiamo parlare mica di Olocausto se non c’è eliminazione fisica pianificata, se non c’è sterminio degli indesiderabili.
Noi non possiamo parlare di Olocausto e forse non potranno farlo i posteri visto che non resterà traccia: non ci sarà la conta delle valigie ne’ delle scarpe o dei capelli che vediamo nelle teche di Oswiecim. Oggi lasciamo fare il lavoro sporco alla Natura matrigna e nessuno ci chiederà cosa facevamo, dove eravamo, cosa dicevamo perché mancheranno le prove fisiche per incriminarci.
La storia semplifica, così oggi tendiamo a identificare i nazisti e i fascisti coi militari in divisa ma non ci rendiamo conto che in un regime totalitario tutti sono nazisti e fascisti per mancanza d’alternative o per fede.
I revisionisti esistono persino laddove le prove sono evidenti: le camere a gas esistono, ci sono entrata e anche i forni crematori stanno lì, cosparsi ancora di quella cenere sottile che somiglia alla cipria ma non è cipria e Arbeit Macht Frei si legge ancora sulla Porta Infernale; figuriamoci con quanto zelo rinnegheremo questo non-Olocausto, d’altronde ci limitiamo al non-salvataggio, alla non-accoglienza e alla non-integrazione. Mica li deportiamo, sgomberiamo soltanto. Mica li rimpatriamo, lo urliamo tante volte finché non sembra vero.
Durante questo non-Olocausto facciamo rimbalzare ogni responsabilità da un confine all’altro dell’Europa, Unione che è preda di un bipolarismo le cui parti, seppur avversarie, sembrano fare l’una il gioco dell’altra mantenendo di fatto uno stallo insopportabile il cui prezzo viene pagato in vite umane.
In questo contesto che vede i nazionalisti apertamente xenofobi contrapporsi agli europeisti, l’Italia strizza l’occhio ai primi definendo a dir poco vantaggiosi i rapporti con il gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca) che, per la cronaca, deve il suo nome a un accordo economico tra Boemia, Polonia e Ungheria risalente alla prima metà del 1300. Continua a leggere →

Homo sum, humani nihil a me alienum puto. La memoria nel 2019.

22 martedì Gen 2019

Posted by orukov in 2019, Alessio Mamo, Augusta, I Giorni della Memoria 2019, MariaGrazia Patania, Olocausto del Mare, Senza categoria

≈ Lascia un commento

Tag

Alessio Mamo, Augusta, I Giorni della Memoria 2019, Maria Grazia Patania, Olocausto del Mare

“Qualche giorno fa ero sul treno per Siracusa e mentre guardavo il mare me lo immaginavo pieno di morti. Per la prima volta ho realizzato che sta cambiando il mio modo di guardare il mare”, a dirmelo è una cara amica che ha il pregio di mettere a fuoco le cose in maniera semplice e ordinata. Senza fronzoli, senza sentimentalismi. “Di fatto, è pieno di morti. Muoiono ogni giorno probabilmente, solo che ormai manco lo sappiamo”, rispondo.

Chi nasce sul mare sviluppa un legame intimo ed inesprimibile con quella distesa azzurra che ti segue ovunque, mancandoti in molti modi. La scorsa estate, quando lasciammo per quasi una settimana la nave Diciotti ancorata al porto di Catania a cuocere sotto il sole implacabile e a inzupparsi sotto i rivoti estivi, guardare il mare mi dava la nausea. Di quei giorni ricordo un furore rabbioso che abitava me e tante altre persone: ci sentivamo personalmente oltraggiati perché questo scempio avveniva a casa nostra. L’idea di lasciare lì sospesi in bilico sulla barbarie 137 esseri umani ci disgustava e lo abbiamo dimostrato a modo nostro: dai presidi con gli arancini alla manifestazione del 26 agosto dove ci siamo sgolati per ribadire che “siamo tutti antifascisti”. Quel pomeriggio, molte delle persone che erano lì volevano semplicemente che i migranti non si sentissero soli. Ecco: speravamo in qualche modo di riscattare la figura miserabile che il governo nazionale imponeva alla nostra terra indomita e orgogliosa. Forse stavamo chiedendo scusa, forse volevamo solo esserci per esprimere il fatto che non fossimo allineati con gli sciacalli.

Non sapevamo che avremmo potuto vivere anche di peggio. Nessuno avrebbe immaginato di mangiare il cenone e il pranzo di Natale col veleno dell’ingiustizia in bocca, nella consapevolezza di una festa ipocrita se si scartano regali davanti al caminetto mentre in mare degli esseri umani sono abbandonati alla loro sorte. Fra uno show natalizio e una pubblicità scintillante, dominano le immagini di un’Europa vigliacca e pusillanime che gioca a fare un pietoso scaricabarile sulla viva carne degli ultimi. Noi di quell’Africa che abbiamo spolpato all’osso, dandole il contentino della libertà con una finta decolonizzazione, non vogliamo sapere nulla. Noi ci meritiamo la pace, la democrazia, i diritti umani, le convenzioni di Ginevra e l’eredità di Norimberga (di cui per inciso non sappiamo che farcene nel nostro delirio guerrafondaio). Gli altri affogassero pure in silenzio.

Moonbird - Flying Over the Rescue in the Mediterranean

*Ph. Alessio Mamo, giugno 2017, a bordo del Moonbird operato da Sea Watch e Humanitarian Pilot Initiative. Il velivolo sorvola la rotta migratoria più letale al mondo per individuare imbarcazioni in pericolo, chiedendo di metter fine alle morti in mare e consentire a chi fugge di arrivare in Europa senza rischiare la vita

In mezzo, il mare che raccoglie le vite indesiderate, le culla e le conserva sui suoi fondali, risvegliando in noi isolani paure e timori irrazionali che contagiano anche chi sull’isola non ci è nato. “L’estate scorsa sono stata a Marettimo, siamo andati in barca a fare un lungo giro con un pescatore. Quando mi sono tuffata, ho provato una sensazione orribile. Come se qualcosa mi stesse toccando. Ho pensato ai morti e sono uscita subito”, questo me lo racconta una amica a Roma. E mi vengono in mente i pesci. Penso ai pesci di cui ci preoccupiamo per via dell’inquinamento senza considerare che – in una perfetta metafora di come l’umanità passi il tempo a sbranarsi- anche loro mangiano noi. I più sfortunati ovviamente. Non noi noi. Noi loro. Quelli che dovevano crepare a casa loro.

Dal 2014 al 18 gennaio 2019, lungo la rotta del Mediterraneo Centrale sarebbero morte quasi 15.00 persone. Nei primi 19 giorni di gennaio ne sono morte almeno 200. Più di 10 al giorno. Sulle sponde libiche, le onde impietose restituiscono corpi devastati che smascherano le truffe politiche che ci vengono propinate ogni giorno. Tre superstiti aggrappati a una zattera di salvataggio hanno visto morire almeno altre 117 persone prima dell’arrivo dei soccorsi troppo lenti e troppo tardivi ora che sono scomparse le navi umanitarie. A queste vittime se ne aggiungono altre 53 di un altro naufragio e 47 sopravvissuti miracolosamente recuperati da Sea Watch 3. Poco dopo, altre 100 persone in pericolo hanno invano chiesto aiuto per ore finché la GCL ha mandato un cargo battente bandiera del Sierra Leone a recuperarli e riportarli indietro. Nel frattempo, dal Viminale si esprimeva soddisfazione per il buon funzionamento della collaborazione con la Libia e si annunciava che “143 sono stati riportati a Tripoli, 144 a Misurata, 106 ad al-Khoms”. Tuttavia, Nils Melzer, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, ha chiaramento affermato che “Se i paesi dell’UE stanno pagando la Libia per impedire deliberatamente ai migranti di raggiungere la sicurezza della giurisdizione europea, parliamo di complicità in crimini contro l’umanità, perché è noto a tutti che queste persone vengono rinchiuse in campi in cui lo stupro, la tortura e l’omicidio regnano sovrani”.

Moonbird - Flying Over the Rescue in the Mediterranean

*Ph. Alessio Mamo, giugno 2017, a bordo del Moonbird operato da Sea Watch e Humanitarian Pilot Initiative. Il velivolo sorvola la rotta migratoria più letale al mondo per individuare imbarcazioni in pericolo, chiedendo di metter fine alle morti in mare e consentire a chi fugge di arrivare in Europa senza rischiare la vita

Tuttavia, oltre ogni tentativo di ricostruzione di dati e fatti, il quadro rimane incompleto perché il mare non si divide in compartimenti stagni e dunque nulla esclude che i fondali della rotta centrale non ospitino anche qualcuno degli almeno 1.322 morti lungo la rotta occidentale dal Marocco alla Spagna o qualcuna delle 1532 vittime della rotta orientale dalla Turchia alla Grecia. Inoltre, la triste verità è che nessun accordo coi dittatori e i torturatori libici, nessuna intesa con la Turchia riuscirà a fermare chi è in fuga. Nessuna delle menzogne che ci raccontiamo per tacitare gli ultimi grammi di coscienza rimasti eviterà l’ennesimo naufragio. Chiudere una rotta significa aprirne un’altra verosimilmente più pericolosa come dimostra l’esponenziale aumento dei decessi sulla rotta occidentale dove solo nel 2018 sono morti in oltre 800 a fronte dell’anno precedente quando le vittime furono 224.

C’è chi muore con la pagella in tasca e il cuore pieno di sogni. C’è chi muore gridando il proprio nome per non essere dimenticato e chi piange pensando a sua madre. C’è chi muore con la sorpresa scritta negli occhi sbarrati e la speranza tradita. E ci siamo noi che aspettiamo sulle banchine vuote, mentre il vento si infila fra la pelle e i vestiti tormentandoci con mille domande. Avranno freddo. Avranno fame. Avranno paura. Dove sono tutti. Saranno sul fondale del mare. Quanti sono in Libia, quanti morti in acqua. Così, lentamente, anche noi paghiamo il prezzo del quieto vivere. Anche noi scontiamo la nostra pena mentre il mare -un tempo balsamo di consolazione- comincia a farci paura e ribrezzo proprio come chi causa tutto questo.

di Maria Grazia Patania


La prima edizione della programmazione sulla Giornata della Memoria risale al 2016 e in quell’occasione parlammo di Olocausto del Mare. L’espressione destò scalpore e indignazione in qualche caso, ma molti dei pezzi di quella settimana entrarono nelle aule scolastiche, fra i banchi di scuola, grazie ai tanti e alle tante insegnanti che ci seguono e che, lontani da ogni intento polemico, li usarono come spunti di riflessione. Parlammo del coraggio e dell’adamantina lucidità di una ventenne tedesca, Sophie Scholl, che insieme alla Rosa Bianca preferì morire piuttosto che cedere alla brutale ideologia nazista. La sua colpa erano le parole, la sua condanna decretata da un volantino all’Università dove si incitava la gioventù tedesca a resistere. Parlammo di Shlomo Venezia e della sua atroce esperienza nel Sonderkommando ad Auschwitz, dell’Arte della Memoria e di Felix Nussbaum (artista vittima dello stermino nazista). Yacob, arrivato dal mare ad Augusta e partito dalla Costa d’Avorio, parlò della sua personale visione dell’Olocausto. Da quel momento, ogni anno, abbiamo cercato di mantenere il filo rosso fra ieri e oggi, fra ciò che è stato e ciò che è e che può ancora barbaramente essere.

Quest’anno io ho deciso di lasciar perdere la Storia. Parliamo di noi. Oggi. Parliamo di cosa siamo diventati. Parliamo di come accettiamo che la gente muoia. E non si muore mica solo in mare dove sentiamo il ribrezzo assalirci mentre nuotiamo. No. Si muore anche dove noi le persone non le vediamo: si muore nel deserto in numeri quasi doppi rispetto al mare, si muore lungo le rotte migratorie che facciamo finta di chiudere pagando chiunque millanti di toglierci la seccatura dell’umanità in cammino. Si muore nei lager libici dove le donne, gli uomini e i bambini vengono oltraggiati da criminali cui forniamo aiuti strategici ed economici. Si muore. Ma a noi non interessa, purché non ci disturbino. Purché non arrivino qui a ricordarci che cosa può succederci domani stesso se qualcuno decidesse che siamo le pedine da sacrificare sul suo scacchiere. Purché non ci tocchi ammettere ineludibili colpe nei confronti di un intero continente che usiamo come bacino di schiavi e risorse o pattumiera per ciò che non ci serve più. Pensare che l’Africa non ci riguardi è pura ed ipocrita illusione, così come pensare di poter rimanere estranei ed indifferenti di fronte all’oltraggio nei confronti di qualsiasi essere umano. Siamo umani e nulla di ciò che è umano può essere considerato estraneo a noi*.

* Terenzio

Quella linea sottile: la migrazione è vita è non si può trattarla come un crimine

22 lunedì Ott 2018

Posted by francescacola in 2018, Antifascismo, Collettivo Antigone, Francesca Colantuoni, Olocausto del Mare, Parole del Collettivo, R-esistenza, Refugees Welcome, Restiamo umani, Senza categoria

≈ Lascia un commento

Tag

Africa, Antigone, Collettivo Antigone, Francesca Colantuoni, Olocausto del Mare, Refugees, Restiamo umani, Stay Human, Tornate a Casa Vostra

Buonismo: spreg. Atteggiamento di benevola apertura e comprensione per tutte le posizioni, accusato di non andare al di là di generici appelli moralistici, capaci solo di produrre compromessi confusi e di basso livello || estens. Eccesso di buoni sentimenti, suggestivo ma inconcludente

C’è una linea sottile tra piacere e dolore, speranza e disillusione e tra umanità e buonismo. A volte questa linea scompare e si perde sotto i nostri stessi occhi, come l’orizzonte al tramonto.
Eppure sin da piccoli le differenze sono ben chiare, l’esperienza e la fiducia in chi ci educa ci fanno capire. “Attento con il coltello, se ti tagli ti fai male”, “studia perché la vita non regala nulla” e “vai a dare la monetina al signore che è meno fortunato di noi”, ad esempio.
Di umanità, infatti, si parla poco, quella la insegniamo vivendo e dando il buon esempio. Solo dopo, da grandi, quell’umanità tanto preziosa, senza un perché, diventa buonismo.
All’improvviso tutto l’amore che ci hanno insegnato a condividere, il rispetto per la vita e per il prossimo sono da meritare, non si possono più offrire agli altri senza ottenere nulla in cambio. Ed è allora che quella linea sottile si ispessisce delimitando e centellinando il nostro istinto di aiutare il prossimo. Ma perché? Quando la libertà del prossimo inizia ad apparirci come un limite alla nostra? Perché dimentichiamo con quanta empatia e amore davamo quella monetina al signore che sopravvive nei nostri ricordi? Cerco di darmi una risposta tutti i giorni ma non la trovo.

La legalità, dicono, è questione di legalità! Venissero con i documenti! È facile fare i buonisti!

Allora mi chiedo se essere buonisti voglia semplicemente dire conoscere i fatti e le realtà che circondano le migrazioni, sapere che l’Africa è un continente meraviglioso schiavo del colonialismo e vittima di un occidente spietato che da secoli distrugge sentimenti quali la fratellanza e la solidarietà in nome dell’oro, del petrolio e del gas (perché l’instabilità favorisce i guadagni ed il controllo), sapere che è praticamente impossibile avere il visto per l’Europa a meno che non si scenda a compromessi e si posseggano tanti soldi. Perché l’Africa è bella ma anche corrotta. Forse è buonista chi sa che è meglio non fidarsi di quello che si legge e andare a vedere con i propri occhi, a conoscere, a chiedere ai diretti interessati. Perché la migrazione è vita e non si può trattarla come un crimine. Allora bisogna agire affinché quella linea doppia che in realtà esiste tra umanità e pregiudizio (e non tra umanità e buonismo) lasci campo libero all’empatia e alla solidarietà, scomparendo come l’orizzonte al tramonto.

Di Francesca Colantuoni
Agosto 2018

 

Nessun Uomo è un’isola

13 mercoledì Giu 2018

Posted by cristallina555 in 2018, Africa, Antifascismo, Arruolamento forzato, Asia, Balkan Route, Bambini soldato, Collettivo Antigone, Cristina Monasteri, Decolonizzazione, DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO E DEL CITTADINO, Disobbedienza, Frontiera, IOM / OIM, Leva obbligatoria, Michelangelo Mignosa, Olocausto del Mare, Photography, R-esistenza, Razzismo, Refugees Welcome, Restiamo umani, Senza categoria, Stay Human

≈ Lascia un commento

Tag

Accoglienza, aprite i porti, Aquarius, Arruolamento forzato, Balkan Route, Carestia, Collettivo Antigone, Governo Italiano, Guardia Costiera, Guerra, human rights, Immigrazione, IOM, John Donne, Libia, Mediterraneo, Michelangelo Mignosa, Migrations, OIM, ONG, open borders, Photography, Poveri Cristi, Refugees Welcome, resistenza, Rohingya, SOS Mediterranée, Turchia, Umanità, umanità aperta

Nessun uomo è un’Isola,
intero in se stesso.
Ogni uomo è un pezzo del Continente,
una parte della Terra.
Se una Zolla viene portata via dall’onda del Mare,
la Terra ne è diminuita,
come se un Promontorio fosse stato al suo posto,
o una Magione amica o la tua stessa Casa.
Ogni morte d’uomo mi diminuisce,
perché io partecipo all’Umanità.
E così non mandare mai a chiedere per chi suona la Campana:
Essa suona per te.

John Donne

 

2

Photo Copyright: Michelangelo Mignosa – Poveri Cristi

 

L’abbiamo scritto in più occasioni ma è il caso di ribadirlo: i flussi migratori provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente coinvolgono i paesi Mediterranei a partire dalla fine degli anni Ottanta del Novecento e cioè dalla caduta del Muro di Berlino. Non si tratta di un’emergenza bensì di una situazione che non può continuare a essere ignorata nascondendosi dietro le linee immaginarie dei confini, senza considerare che ogni Stato appartiene a un contesto globale fatto di interconnessioni e di equilibri economici, sociali e culturali in continua trasformazione proprio alla luce delle strategie politiche di ogni paese.

I confini esistono proprio perché nessun paese è una zattera alla deriva nello Spazio. Perché non iniziare a considerarli come “giunture” piuttosto che barriere?

I flussi migratori non cesseranno ora, ne’ nei prossimi anni perché nel Mondo esistono conflitti che causano milioni di sfollati.
Non si può però pensare alla guerra come all’unico “motivo valido” per fuggire dal proprio paese. Le altre cause di migrazione massiva sono i disastri naturali causati dalla deforestazione, i terremoti e gli tsunami che da decenni colpiscono i paesi asiatici e quelli africani; le carestia e le condizioni di estrema povertà (Sudan e Sud Sudan, ad esempio); le persecuzioni religiose (ricordiamo la tragedia vissuta dal popolo Rohingya ); le numerose dittature e le forme di governo autoritarie che privano la propria popolazione dei diritti umani o che obbligano all’arruolamento forzato.

 

Tutta l’Africa in Italia non ci sta.

Nel settembre del 2015, il Consiglio europeo per la Giustizia e gli Affari Interni, ha adottato nuove misure per la ridistribuzione dei richiedenti asilo provenienti da Italia e Grecia. Tra il 2015 e il 2018, l’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (IOM) ha assistito alla ricollocazione in altri paesi europei di quasi 35 mila persone bisognose di protezione internazionale, poco meno di 600 tra loro sono i minori non accompagnati.

Assegnazioni_da_Gr_It

Fonte: IOM – sezione Relocated

 

La tratta*

La presenza di conflitti o disastri ambientali nel paese di partenza (non necessariamente è il paese di origine), rende i migranti più vulnerabili al traffico di esseri umani durante il viaggio verso l’Europa, soprattutto sulla route del Mediterraneo centrale, rispetto alla route balcanica.
Quando parliamo di tratta, di traffico di esseri umani, intendiamo in primis le condizioni di detenzione e schiavitù in cui versano le persone in stallo nei campi libici: spesso i trafficanti tengono uomini, donne e bambini in ostaggio e, solo quando le condizioni di salute sono tanto critiche da impedire ulteriori sfruttamenti, vengono imbarcati e lasciati alla deriva in mare. Molte donne subiscono violenze sessuali: è questo il motivo per cui ci sono molte donne incinte a bordo delle imbarcazioni recuperate dalle ONG e dalla Guardia Costiera.

Libia e Turchia, porte verso l’Occidente?**

La Libia è uno tra i paesi di transito e la situazione politica attuale la rende uno degli stati in cui i migranti sono maggiormente vulnerabili allo sfruttamento e al traffico di esseri umani.
Molti rifugiati dichiarano di essere stati imbarcati con la forza, altri con l’inganno di una prospettiva lavorativa, altri ancora con proposte di matrimoni combinati. I minori non accompagnati sono le vittime più comuni della tratta.

La Turchia ha rappresentato, negli ultimi decenni, un paese di passaggio per le popolazioni dell’Asia provenienti soprattutto dal Medio Oriente, ma rappresenta anche una destinazione per molti di loro: secondo il DGMM (Direzione Generale Turca per le Migrazioni), quasi 4 milioni di migranti sono presenti nel territorio turco, la maggior parte di loro proviene dalla Siria, dall’Iraq, dall’Iran e dall’Afghanistan.

 

Al di là della propaganda elettorale e delle notizie parziali o addirittura false, al di là delle ridicole moltiplicazioni tra il numero di persone in arrivo e i fantomatici trentacinque euro al giorno, al di là della cattiva fede di un Governo che tiene in ostaggio più di 600 persone in mare aperto in condizioni disumane perché poco avvezzo alla diplomazia e alle pratiche democratiche nel rispetto della legge e degli accordi siglati, ci chiediamo come poter estirpare il germe d’odio che soffoca gli italiani.

Soprattutto, ci chiediamo come persone con due gambe e due braccia, soprattutto due occhi e una testa, persone che vivono intorno a noi, che amano i propri figli, che amano gli animali, persone stese in spiaggia accanto a noi, in fila alla posta con noi, persone in coda alla cassa del supermercato, persone che preparano i nostri pasti, che ci vendono gli abiti, persone che ci aggiustano i telefonini o che ci consegnano la pizza a casa; ci chiediamo come sia possibile per queste persone cedere alla faciloneria di assenteisti e ipocriti piuttosto che fare seriamente propri i valori cristiani fondativi della nostra civiltà.

Possibile che i protettori della cultura cattolica si battano per un crocifisso e non per un povero Cristo?

 

 

R-esistete


*
http://migration.iom.int/docs/Migrant_Vulnerability_to_Human_Trafficking_and_Exploitation_Brief_November_2017.pdf

 

** http://migration.iom.int/docs/DTM%20Libya%20Round%2018%20Migrant%20Report%20(March%202018).pdf

http://migration.iom.int/docs/Flow_Monitoring_Surveys_Analysis_Report_Turkey_May_2018.pdf

L’eredità di Antigone e Danilo Dolci a difesa di Open Arms contro ogni criminalizzazione della solidarietà

03 martedì Apr 2018

Posted by orukov in 2018, Collettivo Antigone, Free Open Arms, MariaGrazia Patania, Olocausto del Mare, Refugees Welcome, Senza categoria

≈ Lascia un commento

Tag

Free Open Arms, Maria Grazia Patania, Refugees Welcome

 Il 18 marzo 2018 la guerra alla solidarietà ha raggiunto una nuova vergognosa vetta, ribaltando il comune senso di giustizia e umanità. Una volta terminato lo sbarco di 218 persone, fra cui 31 donne e 28 bambini, a Pozzallo la nave della ONG spagnola Proactiva Open Arms è stata sequestrata. Il 27 marzo a Palermo presso il circolo ARCI Porco Rosso, Riccardo Gatti e Ana Isabel Mentes Mier, fra gli altri, hanno esposto le loro ragioni e raccontato come sono andate le cose il fatidico 15 marzo. Quel giorno ha infatti segnato una ulteriore svolta nel processo di criminalizzazione della solidarietà che va avanti ormai da oltre un anno.

Non paghi della campagna denigratoria nei confronti delle ONG, ree di salvare vite umane da morte certa e di rispettare i dettami del Diritto Internazionale, si è deciso di pervertire la legge per farne strumento con cui perseguire chi tutela gli esseri umani a favore di chi li abusa, li tortura, li schiavizza.

Il 15 marzo inizia come una normalissima giornata per l’equipaggio SAR che dall’MRCC (Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo) con base a Roma riceve le coordinate di una imbarcazione in pericolo verso cui si dirigono. Nel frattempo, viene loro comunicato che a occuparsi del coordinamento del salvataggio sarebbe stata la Guardia Costiera Libica, ma partono comunque le due lance di salvataggio e il team SAR porta a termine la distribuzione dei giubbotti salvagente, dando priorità a donne e bambini come da prassi. Terminata questa fase, sopraggiunge l’autonominatasi Guardia Costiera libica che, in modo del tutto arbitrario, pretende la riconsegna delle donne e dei bambini appena messi in salvo. A questo punto inizia un pericoloso braccio di ferro fra l’equipaggio di Open Arms e la Guardia Costiera libica che, per piegare la resistenza degli operatori SAR, li minaccia di morte. Per oltre due ore, sono rimasti in balìa di criminali senza scrupoli che sono poi andati via, consentendo di terminare l’evento SAR.

banner_open arms

Le condizioni dei migranti a bordo erano disperate e, fra le molte urgenze mediche, una madre col figlio neonato sono stati evacuati e portati a Malta per ricevere cure di emergenza. Ma non finisce qui: nonostante la situazione precaria a bordo per via delle drammatiche condizioni di salute delle persone salvate e benché solitamente nel giro di qualche ora venga assegnato il porto di sbarco, si configura una situazione di stallo che impone una attesa di 24 ore e costringe la Spagna a presentare una richiesta per far sbarcare le persone salvate. L’imbarcazione si dirige dunque verso Pozzallo e dopo essere stati interrogati in merito a quanto avvenuto in mare, il comandante della nave, Marc Reig Creus (42 anni) e la capo missione Ana Isabel Mentes Mier (31 anni) si vedono notificare un documento che li accusa di associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina cui si accompagna il fermo amministrativo della nave. Con questi capi di imputazione, si rischia fra i 5 e i 15 anni di carcere oltre a una multa di 15mila euro per ogni persona trasportata a bordo. Se non fosse drammaticamente vero, sembrerebbe una scenetta da teatro dell’assurdo: viviamo in un paese in cui si può finire in carcere per aver salvato delle vite umane e rifiutato di riconsegnare persone indifese a chi le tratta come merce di scambio priva di valore.

Da quel momento, è iniziata una campagna mediatica e non solo per sostenere Open Arms e difendere il diritto/dovere alla solidarietà oltre all’obbligo morale, prima ancora che giuridico, di salvare chi è in pericolo. Come ribadito in un comunicato del 28 marzo dell’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (OIM) “salvare vite umane deve restare una priorità nella gestione del fenomeno migratorio” e “il rafforzamento delle operazioni di ricerca e soccorso dovrebbe avere la precedenza su qualsiasi valutazione politica”. Nel frattempo, il 27 marzo è caduta l’imputazione per associazione a delinquere, facendo passare la competenza territoriale da Catania a Ragusa, ma rimangono l’accusa di immigrazione clandestina e il sequestro della nave.

Il 24 a Pozzallo un centinaio di persone hanno fatto un sit-in per ribadire la propria solidarietà a Open Arms, come avvenuto martedì sera a Palermo quando sono stati chiamati in causa l’intramontabile eredità di Antigone e il prezioso contributo di Danilo Dolci alla disobbedienza civile. È chiaro, infatti, che qui non si tratta più di diritto, ma di umanità. Se il reato contestato nasce dal rifiuto di riconsegnare ai propri aguzzini i sopravvissuti ai campi libici, dichiariamoci tutti colpevoli. Se il crimine commesso è aver disobbedito all’ordine di lasciare persone indifese in mano ai libici, ricordiamo quanto ribadito a Norimberga dove è stato sancito ufficialmente che se un ordine è sbagliato non lo si esegue. Se non bastassero Norimberga e Ginevra, torniamo indietro fino all’eterna lotta tra Antigone e Creonte, tracotante omuncolo aggrappato a ingiuste leggi.

Salvare vite umane, rispettare le persone e onorarne i diritti umani non sono scelte. Sono obblighi etici, morali e giuridici non negoziabili. Sosteniamo Open Arms e ribelliamoci fermamente ad ogni criminalizzazione della solidarietà!

“Senza solidarietà e senza altruismo non vi è civiltà”, Pietro Calamandrei in difesa di Danilo Dolci nel 1956

di Maria Grazia Patania

Articolo uscito sulla versione cartacea della Civetta di Minerva del 30 aprile 2018

Le linee immaginarie si possono calpestare, le persone vanno salvate. Passaggio in Mali.

22 giovedì Mar 2018

Posted by cristallina555 in 2018, Anti-Militarismo, Arte, Collettivo Antigone, Cristina Monasteri, Decolonizzazione, Frontiera, Islam, Mali, Olocausto del Mare, Refugees Welcome, Senza categoria, Tornate a Casa Vostra

≈ Lascia un commento

Tag

Africa, aiutiamoli a casa loro, Amadou Toumani Touré, Amnesty International, Cissé Mariam Kaïdama Sidibé, Confine, Frontiera, Mali, Modibo Keita, Moussa Traoré, PIL, Risiko, Timbuctu, Timbuktu, Timbuktu Manuscripts Projects, Tornate a Casa Vostra, UNESCO

Le frontiere, materiali o mentali, di calce e mattoni o simboliche, sono a volte dei campi di battaglia, ma sono anche dei workshop creativi dell’arte del vivere insieme, dei terreni in cui vengono gettati e germogliano (consapevolmente o meno) i semi di forme future di umanità – Zygmunt Bauman

 

Guardo la carta geografica e, cercando il Mali, mi rendo conto di come siano lineari i suoi confini e quelli di molti altri paesi. Come se qualcuno, un bel giorno, avesse deciso di giocare a Risiko con l’Africa: “Toh! Da qui a qui è roba mia, oltre la linea è roba tua.”
Che cosa assurda i confini! Quando vengono tracciati con il righello, poi, mi rendo conto (ancor di più), di quanto siano arbitrari (e insensati). Certo, le etnie e le identità vanno riconosciute e rispettate; certo bisogna riconoscere ai popoli il diritto di appartenenza. Tutto vero, tutto giusto ma se l’idea di nazionalità per gli umani di serie B (i poveri), fosse un concetto utile a farli restare poveri laggiù, in un posto lontano che ci immaginiamo “con le capanne e i leoni della savana”?
Un posto lontano da noi “civilizzati” che i “nostri” poveri li multiamo per aver rovistato nella spazzatura (nella quale sicuramente troveranno i duecento euro per pagare la contravvenzione).

Non divaghiamo, oggi vi porto in Mali Continua a leggere →

Salviamo le persone, portiamole al sicuro. Tutte.

20 martedì Mar 2018

Posted by cristallina555 in 2018, Africa, Anti-Militarismo, Antifascismo, antisemifobia, antisemitismo, Apolidia, Asia, autodeterminazione, Balkan Route, Bambini soldato, Collettivo Antigone, Cristina Monasteri, Decolonizzazione, DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO E DEL CITTADINO, Disobbedienza, Frontiera, Giulio Regeni, I figli della fortuna, Il silenzio dei vivi, Leva obbligatoria, Mali, Muros, Olocausto, Olocausto del Mare, Parole del Collettivo, R-esistenza, Refugees Welcome, Restiamo umani, Senza categoria, Siria, Stati Uniti, Stay Human, Sudan, syria, Tornate a Casa Vostra

≈ Lascia un commento

Tag

Afghanistan, aiutiamoli a casa loro, Al Quaida, Algeria, Birmania, Buonsenso, Clandestino, Darfur, Documenti, Egitto, Iraq, ISIS, lagher, Libia, Manu Chao, Migrante, Thailandia, Turchia, Ucraina, Ungheria

clandestino

fonte: http://www.treccani.it/vocabolario/clandestino/

 

Contro il divieto delle autorità.

Di nascosto.

Illegalmente.

Il termine “clandestino” ha un impiego talmente ampio, come tutte le parole sdoganate dalla narrazione tossica della politica, da essere utilizzato per esprimere il disprezzo verso lo straniero sottolineando la mancanza di regolarità della presenza del detto “straniero sull’italico territorio”.
La malafede è talmente sfacciata che si fa molta attenzione a distinguere tra “immigrati regolari” e “clandestini” quando bisogna “cacciarli da casa nostra” perché non si dica che si tratta di razzismo bensì di “buonsenso”.
Se parliamo di dati effettivi, invece, numeri e percentuali vengono snocciolati al rialzo senza mai fare presente un aspetto che risulta alquanto banale e che, ancor di più per questo motivo, lascia basiti di fronte alla faciloneria con cui certe informazioni vengono dispensate, recepite, filtrate, assimilate: come si fa a parlare di dati se i clandestini, per definizione, sono nascosti?
Si può parlare di numeri quando si documentano gli sbarchi poiché dopo uno sbarco le persone vengono contate, vestite, registrate, fotografate, rifocillate, smistate, accolte. Non sono clandestini, lo diventano quando, senza documenti e incastrati nella zona d’ombra della burocrazia italiana, tentano di passare il confine con la Francia a piedi o sui tetti dei treni, o si nascondono nel retro di un camion per raggiungere le coste inglesi.

Clandestino rispetto a cosa? Rispetto a chi?
Quali sono le autorità riconosciute e da quali Stati europei sono riconosciute? Quali documenti sono validi nel nostro paese? Quali governi democratici sono stati destituiti? Quanti sono i paesi in guerra?
In quanti altri paesi sono presenti, invece, le milizie dei fondamentalisti religiosi?
Qual è il limite di sicurezza sotto il quale è considerata “legittima” una fuga dal proprio paese?
Quanto è stupido pensare che chi scappa stia abbandonando il proprio paese? Chi lo dice? Chi poi si lamenta degli italici cervelli in fuga? Chi è scappato e vive tuttora in Gran Bretagna dall’agosto del 1980 ed è nostalgico di un piccolo omino che si travestì da Carabiniere abbandonando il paese di cui era Duce, negli anni 40?

E7FEC95D-0312-4209-8F60-9E8539BC2075.jpeg

La verità?
Tutti si possono spostare purché non siano poveri.

Perché pensiamo che sia giusto per gli altri esseri umani vivere in alcuni paesi quando noi europei non ci andremmo nemmeno in vacanza?

In Algeria sono presenti diversi gruppi islamici fondamentalisti, da Al Quaida ai gruppi militari affiliati all’IS. A fine febbraio, dopo l’uccisione di alcuni soldati, le autorità algerine hanno dispiegato altri cinquemila militari al confine con la Tunisia per rafforzare la sicurezza del paese nel quale il rischio terroristico continua a essere elevato.
In Egitto è in corso una “guerra contro il terrorismo” che porta a centinaia di sparizioni forzate perpetrate da parte dell’esercito (vedi l’approfondimento sul rapporto di Amnesty International).
In Libia è in corso una guerra civile e non sappiamo ancora quanto il paese si senta minacciato dalle dichiarazioni del fascista Di Stefano il quale vaneggiava di un protettorato su gran parte del territorio libico.
In Libia, inoltre, grazie ai trattati con l’Europa, ci sono i campi di concentramento. Non vogliamo esagerare, vorremmo poter dire che si tratta di uno scherzo, di un’infelice iperbole.
Invece, lo ripetiamo, in Libia ci sono i campi di concentramento per i migranti esattamente come fino agli anni Trenta ci sono stati i campi di concentramento (sedici in Libia ma anche in Eritrea e Somalia che, ricordiamo, erano tutte colonie italiane), per detenuti politici ma anche detenuti comuni, per tribù di ribelli e per i deportati.
Il Mali è travagliato da una guerra civile tra ribelli e forze governative che si protrae da sei anni. L’aiuto che è riuscita a dare l’Europa “a casa loro”? L’esercito francese con altre armi, altri spari, altri morti.
In Nigeria Boko Haram continua a seminare il terrore con attentati kamikaze in cui l’attentatore è solitamente una donna rapita mentre era a scuola.
Il Sudan è martoriato da anni da guerra e carestie. Le persone muoiono di fame in Darfur.

A Oriente la situazione è altrettanto drammatica.
La Siria è stata sventrata dalle bombe, rase al suolo le sue città, massacrata la popolazione civile.
La Turchia di Erdogan fa strage di curdi ad Afrin col prestesto di scacciare i terroristi e con la complicità di Europa, Russia e Stati Uniti.
Mi chiedo se l’angelo contro la guerra regalato dal Papa a Erdogan sia da prendere o meno come un insulto agli innocenti uccisi.
L’Afghanistan e l’Iraq stanno ancora pagando il prezzo della pace esportata dall’occidente a suon di bombe.
In Birmania le persone sono costrette a scappare per non finire vittime di una vera e propria pulizia etnica che continuiamo a ignorare.
La Thailandia è governata dall’esercito sin dal golpe di quattro anni fa.

L’Europa non può certo considerarsi lontana dai venti di guerra: non si parla quasi più di Ucraina ma il conflitto tra i ribelli sostenuti dal governo russo e le truppe del governo ucraino prosegue dal 2014.
Viktor Orban governa l’Ungheria dal 1998 e durante il suo ultimo mandato (iniziato nel 2014), ha messo in discussione la forma di governo occidentale di stampo democratico e liberale a favore di un nazionalismo autoritario che sfrutta ancora il terrore rosso in un abile azione demagogica in cui l’opposizione è pressoché inesistente (salvo il partito neofascista Jobbik).

Perché continuiamo a farci prendere in braccio dalla faciloneria e dalla disonestà di omuncoli che aspirano al potere sulle spalle dei poveri? La povertà non ha confini geografici nonostante si cerchi di nasconderla sotto i tappeti con Daspo insani e pericolosi i quali portano alla legittimazione della “pulizia strada per strada” molto redditizia in tempi di campagna elettorale e molto pericolosa allo stesso tempo.

Il Nazionalismo è una bandiera che nasconde ingiustizia sociale, fomenta l’ignoranza e asseconda le conclusioni facili, duali in cui c’è un buono e, per contrappeso, deve esserci un cattivo.
La fobia del terrorismo islamico ha portato al vero terrorismo italico. A farne le spese sono sempre gli Ultimi e gli Innocenti.
Riusciamo a capire che “aiutarli a casa loro” è una bestemmia contro il diritto alla vita?

L’unico modo per aiutarli a casa loro, in tutta onestà e in quanto cittadina di un paese che invecchia e muore (conviene anche a noi, suvvia), è di andare a prenderli.

Tutti.

Organizziamo voli charter per andare a prendere tutti: gli ultimi, i perseguitati, gli afflitti, i miti, i poveri di spirito, quelli che hanno fame e sete di giustizia. Non ci saranno irregolari, non ci saranno clandestini, non ci saranno altri sepolti nel cimitero del Mediterraneo, non ci saranno altri olocausti nei lagher libici, nelle gabbie Ungheresi, sui confini spinati dei balcani, non ci saranno bambini morti, generazioni cancellate, stupri di guerra, sparizioni forzate.
Pensate, non ci saranno più nemmeno i cocci delle fioriere.

Portiamoli al sicuro, salviamoli. Tutti.

di Cristina Monasteri

L’ignoranza è forza*

31 mercoledì Gen 2018

Posted by cristallina555 in 2018, Africa, Antifascismo, antisemifobia, antisemitismo, Collaborazioni, Collettivo Antigone, Cristina Monasteri, Decolonizzazione, Disobbedienza, Fotogiornalismo, Giorni della Memoria, I Giorni della Memoria 2018, Il silenzio dei vivi, Nazismo, Olocausto, Olocausto del Mare, Senza categoria

≈ Lascia un commento

Tag

Accademia nazionale delle Scienze, ANPI, Calderoli, Collettivo Antigone, Cristina Monasteri, Dandora, fascismo, Fontana, Giorgio Bassani, Giorgio Boatti, Gli Indifferenti, Il giardino dei Finzi-Contini, Istituto Centrale di Statistica, Istituto Nazionale della Nutrizione, Kyenge, Manifesto, memoria, Nairobi, Olocausto, Olocausto del Mare, Razza, Razzismo, Sachsenhausen, Società Entomologica Italiana, Società Italiana di Psichiatria, Valentina Tamborra

«Si capisce», rispose. «I morti da poco sono più vicini a noi, e appunto per questo gli vogliamo più bene. Gli etruschi, vedi, è tanto tempo che sono morti» – e di nuovo stava raccontando una favola –, «che è come se non siano mai vissuti, come se siano sempre stati morti».

Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi Contini.

 

Due anni fa riflettevamo (qui ) sul lavoro di Giorgio Boatti in merito ai docenti che dissero “no” al fascismo, rifiutando di giurare la propria fedeltà al regime.
Oggi, ancora e sempre, torniamo a riflettere sul significato di memoria.

Memoria, sostantivo femminile. In generale, la capacità, comune a molti organismi, di conservare traccia più o meno completa e duratura degli stimoli esterni sperimentati e delle relative risposte […] l’atto e il modo con cui la mente ritiene o rievoca non in generale, ma singole e determinate immagini, nozioni, persone, avvenimenti […] il ricordo, la reputazione, il concetto che una persona lascia di sé, la sua presenza nello spirito dei sopravvissuti o dei posteri […] onorare il ricordo di persone o anche di fatti  […] Annotazione, appunto, destinato a documentare un fatto, a impedire che sia dimenticato o non ricordato con esattezza… Continua a leggere →

← Vecchi Post

seguici su

  • Visualizza il profilo di antigonecollettivo su Facebook
  • Visualizza il profilo di @collet_antigone su Twitter

Redazione

  • antigoneblog2015
  • babybutterfly04
  • claudialaferla
  • cristallina555
  • francescacola
  • morfea
  • orukov

Articoli recenti

  • A scuola di resistenza e resilienza generativa, il “Permaculture Design Certificate Course”
  • Piccolo viaggio alla scoperta della frontiera sud
  • Le radici contano solo se sei un albero
  • Agricoltura sostenibile e cambiamento climatico in Burkina Faso
  • Take her away. Away from here

Commenti recenti

simona su Un anno di scuola con Antigone…
Cristina Mattiello su Ai fratelli sconosciuti morti…
Agnes su Siamo tutti terroristi?
Hauke Lorenz su ViaCrucis Migrante
Anna Teresi su Un uomo di nome Giacinto. Un s…

Archivi

  • luglio 2019
  • giugno 2019
  • Mag 2019
  • aprile 2019
  • marzo 2019
  • gennaio 2019
  • dicembre 2018
  • novembre 2018
  • ottobre 2018
  • settembre 2018
  • agosto 2018
  • luglio 2018
  • giugno 2018
  • Mag 2018
  • aprile 2018
  • marzo 2018
  • febbraio 2018
  • gennaio 2018
  • dicembre 2017
  • novembre 2017
  • ottobre 2017
  • settembre 2017
  • agosto 2017
  • luglio 2017
  • giugno 2017
  • Mag 2017
  • aprile 2017
  • marzo 2017
  • febbraio 2017
  • gennaio 2017
  • dicembre 2016
  • novembre 2016
  • ottobre 2016
  • settembre 2016
  • agosto 2016
  • luglio 2016
  • giugno 2016
  • Mag 2016
  • aprile 2016
  • marzo 2016
  • febbraio 2016
  • gennaio 2016
  • dicembre 2015
  • novembre 2015
  • ottobre 2015
  • settembre 2015
  • agosto 2015
  • luglio 2015
  • giugno 2015

Categorie

  • #MeToo
  • 2016
  • 2017
  • 2018
  • 2019
  • Africa
  • Ai Weiwei
  • Alberto Caviglia
  • Alejandro González Iñárritu
  • Alessandra Lucca
  • Alessia Alicata
  • Alessio Mamo
  • Alterrative
  • Ambiente
  • America Latina
  • Andrea Lucheroni
  • Andrew Wakeford
  • Annalisa Imperi
  • Anonimous
  • Anonyme
  • Anti-Militarismo
  • Antifascismo
  • antisemifobia
  • antisemitismo
  • Antonella Taravella
  • Antonio Parrinello
  • Apolidia
  • Architettura
  • Arruolamento forzato
  • Arte
  • Asia
  • Associazione italiana psichiatria sociale
  • Augusta
  • Aurora di Grande
  • Auschwitz
  • autodeterminazione
  • Babel
  • Balkan Route
  • Bambini soldato
  • Baobab Camp
  • Baobab Experience
  • Basilicata
  • Bologna
  • Bonnections
  • BonnLab
  • Burkina Faso
  • Carla Colombo
  • Children of Fortune
  • Children's Day
  • Chivasso
  • Christoph Probst
  • Cina
  • Cinéma du Desert
  • Cinema
  • Cinema africano
  • Cinema coreano
  • Cinema Italiano
  • Cinema Maliano
  • Cinema Messicano
  • Cinema palestinese
  • Cinema postcoloniale
  • Cinema siciliano
  • Claudia La Ferla
  • Claudio Beorchia
  • Collaborazioni
  • Collettivo Antigone
  • Collettivo's Words
  • Coltan
  • Como
  • Congo
  • Cooperativa Sicomoro
  • Crazy for football
  • Crazy for football-il libro
  • Cristina Monasteri
  • Daniel Libeskind
  • Daniela Mussano
  • Decolonizzazione
  • Denis Bosnic
  • Denis Mukwege
  • Desaparecidos
  • Deutsch
  • deutsche Widerstand
  • DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO E DEL CITTADINO
  • Die weiße Rose
  • DIE ZEIT ONLINE
  • Disobbedienza
  • Dissidenti
  • Domenico Monteleone
  • Doumbia
  • Egon Schiele
  • Eleonora Rossi
  • Elisa Springer
  • Elisabetta Evangelisti
  • Else Gebel
  • Emerson Marinho
  • English
  • Ernesto Montero
  • Esilio
  • español
  • Etiopia
  • Eventi
  • Events
  • Exile
  • Federica Loddi
  • Federica Simeoli
  • Federico Scoppa
  • Firenze
  • Fotogiornalismo
  • Français
  • Francesca Colantuoni
  • Francesco Faraci
  • Francesco Malavolta
  • Fred George
  • Free Open Arms
  • French
  • Frontiera
  • Fuocoammare
  • Gambia
  • Gaza
  • Giacomo d’Aguanno
  • Giada Pasqualucci
  • Gianfranco Rosi
  • Gianmarco Catalano
  • Giornata della Memoria 2017
  • Giornata della Memoria 2019
  • Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne
  • Giornata Internazionale del Rifugiato
  • Giornata Internazionale delle Donne 2018
  • Giorni della Memoria
  • Giorni delle Donne
  • Giulio Regeni
  • Go Back to Your Country
  • Guerra
  • Guinea
  • Hans Scholl
  • Hauke Laurenz
  • I figli della fortuna
  • I Giorni della Madre
  • I giorni della Madre 2018
  • I Giorni della Memoria 2018
  • I Giorni della Memoria 2019
  • I Giorni delle Donne, 2017
  • Il Corpo delle Donne
  • Il silenzio dei vivi
  • Innenansichten aus Syrien
  • IOM / OIM
  • Islam
  • Jüdisches Museum Berlin
  • Jean-Claude Chincheré
  • Johanna Schäfer
  • Jugend rettet
  • Julie Ristic
  • Kenya
  • Kevin McElvaney
  • Kim Ki-duk
  • L'isola che non c'è
  • La Macchina Sognante
  • La memoria del futuro
  • La Palermo degli Ultimi
  • La Rosa Bianca
  • Larissa Bender
  • Lavoro Minorile
  • Les enfants de la Fortune
  • Leva obbligatoria
  • Libano
  • Life Jacket Project
  • ll Corpo delle Donne
  • Lorenzo Tondo
  • Luana Bruno
  • Lucia Cupertino
  • MA-EC
  • Madri
  • Madri di Plaza de Mayo
  • Mali
  • Marc Rothemund
  • Margine Protettivo
  • MariaGrazia Patania
  • Marina Galici
  • Marta Bellingreri
  • Marzamemi
  • Massimo Micheli
  • MateriaPrima
  • Maternità Universale
  • MB
  • MEDIPERlab
  • MEDU-Medici per i Diritti Umani
  • Mely Kiyak
  • Messico
  • MeToo
  • Michael
  • Michael Verhoeven
  • Michela Gentile
  • Michelangelo Mignosa
  • Milano
  • Mockumentary
  • Monaco
  • Mostre
  • Mostre fotografiche
  • Muros
  • Musica
  • Nazismo
  • No Tav
  • Olocausto
  • Olocausto del Mare
  • Ornella SugarRay Lodin
  • Oswiecim
  • Pablo Neruda
  • Palermo
  • Panzi Hospital Congo
  • Papis
  • Parole del Collettivo
  • Pecore in Erba
  • Periferie urbane
  • Permacultura
  • Photography
  • Plaza de Mayo
  • Poesia
  • Português
  • postcolonial cinema
  • Prigioni
  • Progetti
  • Projects
  • Puglia
  • Punta Izzo Possibile
  • R-esistenza
  • Radio Bonn
  • Ramadan
  • Rami
  • Razzismo
  • Refaei Shikho
  • RefugeeCameras
  • Refugees Welcome
  • Resistenza tedesca
  • Restiamo umani
  • Riccardo Pareggiani
  • Roberta Conigliaro
  • Roberta Indelicato
  • Rodrigo Galvàn Alcala
  • Roma
  • Scultura
  • Scuole Verdi Augusta
  • Segregazione
  • Senza categoria
  • Sguardi dalla Siria
  • Sicilia
  • Simona D'Alessi
  • Siria
  • Sophie Scholl
  • Sostenibilità
  • Souleymane Cissé
  • Spanish
  • Stati Uniti
  • Stay Human
  • Stealthing
  • Street Art
  • Sudan
  • Sylvie Pavoni
  • syria
  • Tamara de Lempicka
  • Teatro
  • Teatro Atlante
  • Teatro dell´assurdo
  • Terremoto
  • Testimonianze
  • The Dawn of Recovery – MSF Giordania
  • Torino
  • Tornate a Casa Vostra
  • Traduzioni
  • Translations
  • Ugo Borga
  • Uomo Vs Soldato
  • Valentina Rossi
  • Valentina Tamborra
  • Valerio Bispuri
  • ViaCrucis Migrante
  • VOCES DE SIRIA
  • Voices from Syria
  • Willi Graf
  • Women's Day
  • WordSocialForum
  • World Press Photo 2018
  • Yacob Fouiny
  • Youba
  • Zentrum für politische Schönheit
  • Ziad Homsi

Meta

  • Registrati
  • Accedi
  • Flusso di pubblicazione
  • Feed dei Commenti
  • WordPress.com

Crea un sito o un blog gratuitamente presso WordPress.com.

Annulla
Privacy e cookie: Questo sito utilizza cookie. Continuando a utilizzare questo sito web, si accetta l’utilizzo dei cookie.
Per ulteriori informazioni, anche sul controllo dei cookie, leggi qui: Informativa sui cookie