C’era una volta una casa. Era la casa dei viaggiatori senza portafoglio. Quelli che lasciano le impronte e aspettano, tra le carte accumulate sulle scrivanie democratiche, piene di polvere: i migranti transitanti. Noi siamo solo la porta dei loro sogni, una porta chiusa, un’anticamera di una non camera, ma chiunque decideva di passare per l’Italia, sapeva che a Roma in Via Cupa n.5 avrebbe trovato un tetto, un pasto caldo, un sorriso, l’accoglienza, un letto. E così è stato per 35.000 persone. Baobab era la casa del benvenuto, residenti della zona e volontari aiutavano i migranti senza nessun aiuto istituzionale. Lo Stato è comparso a fare la sua parte lo scorso dicembre. Sgomebrando il Baobab con la stessa cura di uno svuota cantine. Ed ora?
La forza della solidarietà non si è mai fermata. Non basta la burocrazia a fermare la speranza di migliaia di persone. Grazie ai volontari di Baobab Experience, che non si sono arresi. Qui in via Cupa continuano ad arrivare migranti ogni giorno. La voce di questo posto era già arrivata sulle vie della speranza oltre il mare, oltre il deserto, dritto nei cuori straziati di queste donne, di questi uomini. Non sanno che è intervenuto lo Stato ed ha ripristinato la “legalità”, così si dice. Sanno che c’è il Baobab per mangiare.
Una via angusta, quasi segreta, Via Cupa, dove oggi pullulano tende, materassi e accampamenti di fortuna. Proprio lì. Dove c’era il Baobab. Ora è un campeggio di fortuna. Tenuto in piedi dalla forza dei residenti e dei volontari. Eroi.
Ma dobbiamo aiutarli. Il 19 Luglio è successo qualcosa di straordinario qui. Da ripetere. Il Cinema italiano è venuto, ha piazzato uno schermo su via Tiburtina, ha invitato tutti per lanciare il suo grido alle istituzioni e denunciare la situazione in cui lasciamo i ragazzi di via Cupa. Un’esperienza unica, la forza di un film visto assieme ai migranti. Noi e loro. Non davanti ai nostri pc a fare da coro piccionaia sul mondo. Storie in carne e ossa, per quanto deperite, sono arrivate dentro la nostra. Il sindaco -invitato- non c’è, ma non potrà ignorarci tutti. Continueremo a venire qui per i migranti, fin quando non ci daranno una soluzione civile, un tetto, un doveroso servizio di assistenza. Il silenzio è come una ruspa.
19/7/2016
Lo schermo è bianco, disturbato dai lampioni. Tanti i romani qui davanti in attesa. Chi si è portato una sedia, chi una cassetta di legno, chi siede semplicemente a terra, sul marciapiede rovente di via Tiburtina, non siamo in un multisala raffrescato. Davanti a noi le mura del Verano. Ironie. Dietro di noi Via Cupa. O quel che resta della nostra umanità: tende, materassi, bagni chimici, uomini che pregano davanti ai cassonetti, chinati sulle loro esili gambe. Bambini che già dormono. Come tutti i bambini. Ancora nessuno dei migranti che transitano in via Cupa in queste condizioni ha osato attraversare le due corsie fiume di via tiburtina. Forse le camionette della polizia, inutilmente presenti, li disturbano. Non si fidano più di quelle divise, di quelle istituzioni che fanno accordi col diavolo pur di liberarsi di loro. Proprio ieri sono venuti qui per identificare tutti, dicono, hanno seminato la paura, il terrore tra i migranti, gli hanno ricordato della ferocia delle divise nei loro paesi d’origine, quasi sempre dittature, gli hanno tolto quel vicolo di pace che hanno trovato da qualche giorno. Forse la prima cosa che imparano i migranti è proprio di non fidarsi. Noi siamo qui per voi, gridavano i miei occhi costantemente girati nell’attesa che tutti loro si unissero a noi Romani davanti allo schermo. Siamo qui per darvi la nostra voce.
Mi giro di nuovo. Vedo una maglietta familiare. Giorni fa ero venuto qui a lasciare il mio aiuto, vestiti, latte… Ed ecco un pezzo di me che continua il viaggio, su un ragazzo. Mi avvicino sorridendo.
Ciao, sai che quella maglietta è mia? – Mi guarda preoccupato – Gli dico subito di stare tranquillo, che ho portato dei vestiti proprio l’altro ieri e che ero contento che lui la indossasse. Si chiama Mengstab, 19 anni, Eritreo. E’ stato respinto in Francia, ora è a Roma, ha lasciato le impronte, dice, come se fosse il suo ticket d’ingresso ad una nuova vita, ma vuole andare in Germania, stare qualche anno lì per poi trasferirsi in Canada e raggiungere una parte della sua famiglia. E’ simpatico, scherziamo molto, dice che non è vero che ho 31 anni, ne dimostro 25. Lo ringrazio. Ho cercato nei suoi occhi, nel suo sorriso e ho trovato una forza vitale che ho invidiato. Noi siamo codardi. Lui non ha portafogli, documenti, soldi, ha solo un taccuino con dei numeri. Gli lascio il mio. Gli ho detto, noi siamo qui per voi, guardiamo insieme questo film.
Mi presenta il suo amico, Tesfay, 20 anni, Eritreo. Lui vuole andare in Gran Bretagna. Gli dico di Brexit. Lui sorride ed ha ragione… Londra è sempre allo stesso posto, eh. E’ qui con sua moglie e suo figlio di 1 anno. Non voglio immaginare quanto duro sia stato il viaggio per arrivare qui, non voglio chiederglielo. Ognuno ha il suo masso nello stomaco, quello è davvero pesante, ma bisogna continuare il viaggio sempre. Questo c’è nei suoi sorrisi. Sorrido. Mi chiedono se ho delle amiche da presentargli, scherziamo un po’, come fossimo vicini di casa.
Finalmente anche gli altri migranti si avvicinano, hanno preso coraggio. Inizia il film. Tutti insieme, seduti sulla stessa terra con gli occhi verso LAMERICA.
PS Se siete a Roma, andate in Via Cupa, stringete la mano, lasciate il vostro aiuto, non lasciamoli soli. Per informazioni aggiornate sui prodotti necessari di giorno in giorno visitare la pagina FB o l’account Twitter.
Di Andrea Lucheroni (foto e testo)