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Collettivo Antigone

~ Proteggere e custodire le leggi naturali di ogni essere vivente

Collettivo Antigone

Archivi della categoria: La Macchina Sognante

L’obiezione di coscienza contro ogni guerra

13 giovedì Ott 2016

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Arruolamento forzato, La Macchina Sognante, Leva obbligatoria, Obiezione di coscienza, Refugees Welcome, Restiamo umani

Addestrare a portare morte è uno degli atti più odiosi che gli adulti possono commettere su giovani poco più che ragazzi, obbligati con ogni violenza psicologia o fisica, con ricatti o con la seduzione dell’eterno “gioco” della guerra, a imbracciare un fucile o a tirare una granata. I giovani che scappano dall’Eritrea dove il servizio militare, finita la scuola superiore, è a vita, dalla Siria e da tanti paesi dove vengono prelevati dalle scuole per essere obbligati a studiare le tecniche di morte, preferiscono morire in mare o nel deserto piuttosto che vivere per uccidere, mutilare o stuprare altri innocenti. Continua a leggere →

43 poeti per Ayotzinapa.Voci per il Messico e i suoi desaparecidos.

26 lunedì Set 2016

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Antigone, Collettivo Antigone, La Macchina Sognante, Lucia Cupertino, Parole, Testimonianze

Ayotzinapa rappresenta un punto di non ritorno per la storia delle violenze in Messico. Il plurale è d’obbligo. Quei 43 giovani studenti della scuola “Raúl Isidro Burgos” sono solo una frazione dei desaparecidos, morti, feriti fisicamente e psicologicamente che la terra messicana avvolge nel suo silenzio. Un silenzio fitto di bugie e versioni ufficiali e figlio della complicità dello Stato, di tutti i suoi organi e di tutti gli ambienti che lucrano con le necropolitiche latinoamericane, affermando il loro potere a costo di vite umane e di un territorio estremamente biodiverso sempre più sottomesso allo sfruttamento sfrenato.

Quei 43 giovani sono anche le vittime dei femminicidi, i difensori e le difenditrici dei diritti umani e ambientali negli stati più caldi del Paese, i migranti de La Bestia e quelli di Tijuana, le donne sequestrate per entrare nelle reti del traffico sessuale, le tante persone in attesa di qualcuno che non tornerà, sono gli etnocidi e la morte delle culture, lingue e cosmovisioni, i giornalisti che fanno vera informazione, i fiumi, i combustibili fossili, il mais che si vuole rendere transgenico, i semi degli antenati e tutti i beni pubblici rubati con l’oltraggio di un’arma, un sequestro, delle sevizie, un abuso, delle minacce, degli sguardi biechi, degli stereotipi ripetuti.

Come ci ricorda Francesca Gargallo nella postfazione di 43 poeti per Ayotzinapa.Voci per il Messico e i suoi desaparecidos: “Per questo il gruppo di scultori che ha forgiato l’anti-monumento detto “+43” in tre pezzi, collocati durante un’azione artistica collettiva e clandestina il 26 aprile 2015 all’incrocio tra Avenida Reforma e Bucareli, in pieno centro di Città del Messico, ha insistito nel dare importanza proprio alla prima delle tre parti dell’anti-monumento, cioè a quel “+” alto tre metri di ferro rosso, che sta a rappresentare l’esigenza del ritrovamento in vita dei 43 ragazzi e anche di tutte le altre persone sparite.”

Oggi, a due anni esatti dai fatti di Ayotzinapa, vogliamo ricordare tutti questi figli delle violenze attraverso alcuni stralci dal libro appena uscito: 43 poeti per Ayotzinapa.Voci per il Messico e i suoi desaparecidos (a cura di Lucia Cupertino, con prefazione di Fabrizio Lorusso e postfazione di Francesca Gargallo), Edizioni Arcoiris, 2016. Il libro sostiene la causa della scuola normale rurale di Ayotzinapa, storica fucina di cambiamento in Messico, appoggia le famiglie e tutti i membri della scuola e comunità e pertanto il ricavato sarà devoluto all’Associazione dei genitori della Scuola Normale Rurale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa.

 copertina

Il dolore ha memoria, sostiene il poeta Vega Cerezo. Coi morti e il sangue versato si insinua nelle viscere della terra, nelle acque sotterranee, nelle radici degli alberi, nelle rocce e ne attingono anche gli insetti e funghi che silenziosamente lavorano per noi la terra. Sembra non esservi scampo: il dolore alimenterà generazioni impregnate di dolore e questo fino alla fine dei tempi. È invece proprio il lavoro e lavorio con la memoria –quella individuale e collettiva– a poter rompere la catena perpetua, attivando il processo di rigenerazione profonda che viene dalla tessitura di quei fili addolorati in una nuova manta.

La parola è un mezzo imperfetto, spesso malamente iperallenato nelle comunicazioni digitali dell’era che viviamo. Lì non sembra esserci un meditare sugli eventi, ma solo un fluttuare vacuo che costantemente parcellizza invece che dischiuderci nuovi orizzonti. Eppure dove s’apre il campo della poesia, s’apre la speranza di poterci soffermare a pensare il flusso della storia e dare un senso alle azioni da costruire nel presente e nel futuro per determinare un cambiamento.

Con questa intenzione nasce l’antologia messicana che qui presentiamo, un coro di voci poetiche dalle tinte e dai registri più vari, ma accomunate dal voler tessere con la parola poetica una nuova manta per un Messico diventato il Paese del dolore permanente, ineluttabile, senza via d’uscita. Al di là della rabbia, dell’impotenza e della nostalgia, con queste 43 poesie si lanciano 43 semi per tessere un’altra memoria, un altro Messico.

Lucia Cupertino


Briceida Cuevas Cob

Maya, Messico

MESE XUUL (DAL 24 OTTOBRE AL 12 NOVEMBRE)

I

Questa volta il lumino dell’attesa si consuma dinnanzi al dubbio.

Questa volta i tuoi antichi defunti sono giunti e non c’eri in casa.

Eri alla ricerca dei vivi tra i morti.

(Vennero a cercarti e ti trovarono col tuo altare ambulante

ad issare volti reiterati di giovani amati).

Da allora

alla marcia per la giustizia e il ripudio

si sono unite le anime degli altri morti.

E non se ne andranno fino a quando non li troveranno vivi.

 

II

In questo mese di convivenza coi morti,

il forno in terra cruda per cuocere grandi tamales[1]

 

ti ricorda

che la morte giunge

dai quattro punti cardinali.

Ma l’odore della morte che ti circonda non viene da quelle parti.

Ha cancellato la sua traccia.

 

III

A lungo ti domandi:

“Se all’ottava del giorno dei morti tornano gli impiccati,

quando verranno i vivi incinerati?”

Neghi a te stessa quest’idea

E intraprendi la ricerca

in valli, fiumi, guazzi, montagne, fosse clandestine

con una piccola luce che si è moltiplicata attraverso le voci d’altri:

“Vivi li hanno portati via,

vivi li rivogliamo”

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IV

Le foglie del fior di morto[2] non bastano a curare la ferita

quando profonda è la radice del dolore.

Lo sai perché sono trascorsi più di 43 giorni.

E ogni giorno che passa scava una palata di angoscia nella fossa aperta del tuo cuore.

Preghi.

Mentre sopporti le burle del potere

sfogli il fior di morto;

 

Interroghi ogni petalo marcito:

Vivono…? Non vivono…?

E a ogni domanda senza risposta si sfoglia la tua anima.

 

Juan Campoy

_____________

Spagna

 

AYOTZINAPA

Erano il miglior raccolto del Paese,

una generazione

di pensatori liberi,

la speranza di un popolo.

Ma il potere appesta

e va marcendo

fino a servire d’adorno

negli uffici.

Tutto ciò che poteva essere orizzonte,

un cielo libero fecondato di vita,

non era nient’altro che una pagina

archiviata in uno scantinato buio.

43 voci con faccia e nome

disposti ad essere concime nel campo,

viveri sul tavolo dei poveri,

vaccino miracoloso

contro la febbre nera del lebbroso,

43 poesie

contro la longitudine vertiginosa

di una sferza o di una sciabola.

 

Erano il miglior raccolto del Paese,

però hanno lasciato solo equazioni

irrisolte,

verbi e aggettivi contro l’inverno

e il suo bacio mortale,

così riga dopo riga

hanno scagliato metafore

contro l’iniquità

insopportabile dei genocidi.

 

Forse li colsero distratti,

o forse avevano troppa fiducia

nei pilastri basilari della loro fede.

Spaccati in pronomi,

il campo è rimasto seminato di ossa.

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Patricia Olascoaga

_____________

Uruguay

La morte ci sorprende ad ogni semina

con le braccia aperte all’aria.

Quarantatré sono state

le bocche a gridare la denuncia e l’utopia,

fors’è per questo,

le labbra aperte nei baci

giovani bocche ancora senza crepe d’odio,

sogni nuovi.

Fors’è per questo.

Quarantatré sono stati

i corpi a camminare lungo una strada in discesa,

quarantatré e non sono tornati.

La morte ci sorprende ad ogni semina

senza un luogo dove piangere i morti.

Assalto a mano alzata, zampata feroce:

non gli è bastato rubare la vita di quei corpi

incenerire i volti ormai inespressivi,

dovevano anche rubare i loro corpi dalla sepoltura

i loro nomi alle presenze

le loro lacrime al pianto delle loro madri.

Fors’è per questo,

quarantatré giovani bisognerà partorire oggi

come impotenza o ribellione o omaggio.

Partorirli ogni giorno nel ricordo e nel verso

e repellere l’oblio

e maledire quarantatré volte,

come uno scongiuro e una supplica

quando si lancia il chicco nell’aria ad ogni semina,

quarantatré giovani nella terra.

 

Traduzione: Lucia Cupertino

[1] Piatto tipico amerindio costituito da massa di mais ripiena di carne e verdure, che viene avvolta in foglie di banana, mais e simili per poi essere cotta (NdT).

[2]  Il fiore che si porge ai defunti durante la Festa dei Morti (nome scientifico: Tagetes erecta, anche detto in nahuatl Cempohualxochitl, Venti fiori). In diverse zone del Messico la pianta è inoltre usata come rimedio medicinale in varie situazioni di malessere, includendo alcune considerate culturali, come paura e spavento (NdT).

Riflessioni di un’italiana a Bonn sui fatti di Colonia

21 giovedì Lug 2016

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EN

Il 31 Dicembre 2015 iniziava il mio quarto anno a Bonn. Mentre io ero in Sicilia, a Colonia si verificavano dei fatti gravissimi: aggressioni, borseggi, violenze di vario genere. Principalmente ai danni di donne, ma non solo. Non sono una giornalista e non intendo scimmiottare questo mestiere pertanto lungi da me tentare ricostruzioni più o meno veritiere dei fatti (che tanto non conosceremo mai).

Curiosi sono certamente i risvolti psicologici e pratici di questi tristi eventi. Curioso è credere che contemporaneamente in svariati luoghi della Germania si sia scatenato un girone infernale in cui “giovani uomini dai lineamenti arabi” hanno assalito verbalmente, fisicamente, sessualmente un numero esasperatamente alto di donne. Numero che è cresciuto a dismisura nei giorni successivi quando -con inspiegabile ritardo vista la meticolosità tedesca- i fatti sono stati resi noti al pubblico. Affamato di scandali.

In prima battuta, netta e inequivocabile, arriva la rassicurazione del capo della polizia tedesca che dice che non esiste alcun legame fra le aggressioni, le sembianze arabe degli assalitori (?!) e i richiedenti asilo accolti a migliaia. Manco il tempo di tirare un sospiro di sollievo che emergono indiscrezioni ad insinuare il dubbio: beh, forse alcuni erano rifugiati, anzi non solo alcuni… Mi sa che erano proprio tanti. Quasi tutti. C’erano giusto quei pochi bianchi (autoctoni e non) che magari forse avevano bevuto troppo… Tutto qui. Sono stati quelli dalle sembianze arabe a commettere i misfatti. E il caos fu. DER SPIEGEL ha messo in luce questa strategia anomala fatta di rassicurazioni, smentite, insinuazioni e sapiente orchestrazione del dubbio. E da parte mia, ho collocato l’ultimo tassello del mio personalissimo puzzle interpretativo.

Impossibile credere alla storiella di una follia coordinata da centinaia, migliaia di uomini “arabi” che –eludendo ogni controllo- hanno infierito sulle “nostre” donne emancipate, indipendenti e non represse come le musulmane. A quel punto ad ogni latitudine -soprattutto italica- sono state dissotterrate le clave che decenni di pseudo-evoluzione avevano riposto in cantina ed è partita la guerra ai muSSSSulmani che non sanno rispettare le donne, che non accettano la libertà delle “nostre” donne. Lì ho smesso di seguire e ho cominciato a guardare.

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Photo Copyright: Francesco Faraci

Colonia è stata sotto assedio. Il 14 Gennaio sono andata in stazione centrale per incontrare una amica e pensavo stessero girando un film su qualche dittatura sud-americana degli anni 70. Pochissime persone in giro, polizia a gruppi di sei a ogni angolo che fermava persone seguendo schemi a me ignoti, dieci camionette nel piazzale immediatamente di fronte e altre sei davanti il Duomo. E ancora polizia nei vicoli, polizia nelle strade, fermi ovunque. Brutto scenario insomma. Da quel momento sottilmente la presenza di personale di polizia è aumentata in ogni dove. Insieme al senso di paura e insicurezza generale.

Ed è questo il punto cruciale: paura ed insicurezza. Le armi migliori per zittire, assoggettare, reprimere, far cedere (in)consapevolmente e di buon grado la propria libertà -preziosissima- in nome di una presunta sicurezza benignamente offerta da gente armata.

La Germania è la patria che mi ha adottata e chiunque provi a parlarne male con me, casca male, malissimo. Perchè io amo questo paese: qui ho imparato cosa vuol dire davvero essere libera -economicamente e fisicamente. Ho fatto cose che in Italia non avrei fatto fra cui viaggiare e andare a concerti o festival. Sempre rigorosamente da sola. Il tedesco io l’ho imparato sui treni e negli aeroporti, coi loquacissimi nonni teutonici a cui non importa un fico secco se non parli la loro lingua perché loro devono comunque raccontarti le vacanze in Italia, nei musei chiedendo informazioni, al lavoro con la pazienza dei miei clienti che non si scoraggiavano. Il tedesco l’ho imparato viaggiando avvolta da un benefico senso di sicurezza che mi ha fatto spiccare il volo emotivamente e visitare luoghi stupendi. La Germania mi ha commossa col suo netto rifiuto per l’associazione islam-terrorismo dopo l’attentato a Charlie Hebdo quando la Cancelliera Merkel disse “L’Islam appartiene alla Germania“. La Germania mi ha regalato speranza con le immagini della stazione centrale di Monaco piena di famiglie e bambini tedeschi che -con cartelloni e giocattoli- accoglievano famiglie e bambini in fuga da morte certa. Io stessa ho preso parte a iniziative per accogliere i nuovi arrivati e coi miei occhi ho visto famiglie tedesche -con prole al seguito- arrivare sorridenti ai centri d’accoglienza con torte e regali.

E quindi ora non capisco. E taccio. E osservo preoccupata, molto preoccupata questa pericolosa china che si sta prendendo.

Personalmente mi riconosco nelle attiviste di Colonia che seccamente hanno risposto che “I coglioni sono coglioni ovunque” e “Il femminismo rimane anti-razzista“. E mi pongo delle domande: io che sembianze ho? Sembro araba? Sembro tendente all’ariano anche se i capelli mi tradiscono? Non so… Quando dite le “nostre” donne, di chi parlate? Perché io sono mia e intendo rimanerlo finché campo. Di certo non appartengo a un uomo. Quando parlate di “proteggere le nostre donne“, ci potreste dire anche da cosa? Il chi l’abbiamo capito: le sembianze arabe, i muSSSSulmani, il Corano e una serie di scorrettezze grammaticali che offendono vista e buonsenso. No, perché a ben vedere -siccome non vivo nella giungla e al supermercato trovo il cibo senza dover andare a caccia nei boschi- la prima cosa che mi metterebbe paura mentre cammino per strada la sera è l’incontro con uno di questi galanti della protezione o con qualcuno che intende stuprarmi o ferirmi. E vi garantisco che del colore della sua pelle, della sua religione, della sua provenienza non me ne fregherebbe nulla. Quindi, invece di proteggerci, imparate a rispettarci. Tutti.

di Maria Grazia Patania

Articolo scritto per la Macchina Sognante che lo ha pubblicato mesi fa qui

English translation available here

Il Collettivo Antigone visto da Claudia

01 mercoledì Giu 2016

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Antigone, bellezza, Claudia La Ferla, Collettivo Antigone, La Macchina Sognante, Olocausto del Mare, Parole, Testimonianze

Non è facile parlare del Collettivo Antigone, sarebbe come chiedere a una madre di parlare di suo figlio. Amore, dedizione, passione, questo è il Collettivo Antigone; penne fatte di inchiostro, sogni e speranze. Collettivo Antigone è il bisogno di non passare oltre, ma di esserci. Il giorno che Maria Grazia, attraverso lo schermo di un pc mi parlò di questo progetto che non rappresentava tanto l’esigenza quanto l’urgenza di creare una cassa di risonanza di fronte ai troppi silenzi, non pensai che tutto questo fosse una assurdità… ma una meravigliosa follia. Con un tono quasi timido mi chiese se avessi conoscenze di cinematografia africana e quello fu l’inizio di questa avventura per cui non smetterò mai di ringraziarla.

Collettivo Antigone è la penna di uomini e donne che hanno un unico fine: difendere il diritto alla vita. Parlare di un diritto così elementare in un tempo che chiamiamo “nuovo millennio”, un tempo in cui scopriamo nuovi pianeti e pianifichiamo vacanze spaziali in giro tra le stelle, appare quanto meno surreale. La triste e rabbiosa verità è che il diritto alla vita non è per tutti, come se la pura casualità che ci ha permesso di nascere “nella parte giusta del mondo” arrecasse il diritto di smontare le orecchie dalla nostra testa, strappare gli occhi dal nostro viso e inchiodare le nostre labbra per non recarci il disturbo di pensare agli altri… D’altronde “il lato giusto del mondo” è uno luogo molto comodo. Ma dimentichiamo che, volendo citare Dante, anche gli ignavi vanno all’inferno colpevoli del loro non agire. Credo nella veridicità della teoria analizzata da Lorenz conosciuta come Butterfly effect: “Può, il batter d’ali di una farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas?” Sì, possiamo attraverso la nostra non-indifferenza, cambiare le sorti di una realtà diventata “massacro di anime”.

Non è il sogno della pace nel mondo di una ragazzina che si appresta a ricevere la corona di reginetta di bellezza, ma l’azione consapevole di dare gran voce a chi passa ormai quasi inosservato nella routine di fatti che appaiono scadalosamente “normali”. I corpi inghiottiti dal mare non sono una tacita quotidianità su cui cambiare canale per passare al ben più interessante programma di cucina e noi, quel “lato giusto del mondo”, siamo colpevoli di nascondere la testa sotto la sabbia attraverso l’alibi dell’impotenza. Ognuno può fare qualcosa se, come dice Malala, basta un bambino, un insegnante, un libro e una penna per cambiare il mondo. Allora basta il coraggio di ognuno per fermare una strage silenziosa. Non esistono recinti che connotano “il nostro mondo”, la vita ha eguali diritti ovunque essa sia e il nostro dovere è di preservarla con ogni mezzo, fosse anche un foglio e una penna… Perché ci potranno chiamare pazzi o sognatori ma la più grande e meravigliosa follia è la vita stessa e ognuno deve avere il diritto di poterla vivere. Non c’è sogno che non possa essere realizzato se si ha il coraggio di non voltarsi dall’altra parte.

Ringrazio di cuore chi lavora ogni giorno per tutto questo, chi ha sacrificato molto per vedere nascere un sorriso sul viso di ha scampato la morte… Tutti i collaboratori, i fotografi che ritagliano emozioni rendendole indelebili e chiunque abbia orecchie per sentire… sentire nel profondo.

di Claudia La Ferla

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*Photo Copyright: Alessandra Lucca


Questo testo era stato scritto a Gennaio per la presentazione di Antigone a Francoforte insieme alla Macchina Sognante e noi -mantenendo fede alla promessa di non dimenticare quel giorno-  pubblichiamo le sue parole nel giorno del primo compleanno di Antigone.

Scrivo affinché nessuno dimentichi

17 mercoledì Feb 2016

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Antigone, bellezza, Collettivo Antigone, Francesco Malavolta, MariaGrazia Patania, Olocausto del Mare, Parole, Testimonianze, Yacob Fouiny

Ho deciso di aderire al Collettivo Antigone per combattere i pregiudizi, la paura del diverso e soprattutto mostrare che il diverso non è diverso, ma siamo tutti uguali perché abbiamo le stesse emozioni in fondo! Sono proprio queste emozioni che provo a colorare con i miei scritti!

Se non sapessi scrivere, sarei muto, condannato a tacere come tanti altri… Nei centri d’accoglienza. Ho deciso di scrivere perché sono pieno di sentimenti senza parole! Allora dedico il mio tempo alla scrittura nell’emergenza come se la mia vita fosse in pericolo. In quel momento vedo la scrittura come l’ambulanza che soccorre una vita in pericolo! Quindi non sono io che scrivo, ma è il mio istinto di sopravvivenza che lo fa! Butto il mio essere sulla carta perché la scrittura senza anima non è nient’altro che un insieme di lettere. Non scrivo ma mi scrivo come ha fatto Pier Paolo Pasolini impegnandosi col corpo per definire le borgate romane!

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*Foto di Francesco Malavolta / UNHCR

Non scrivo per dimenticarmi di ciò che ho vissuto, scrivo affinché nessuno dimentichi! Se non avessi le parole non saprei cosa diventerei e come mi avrebbero considerato! Quando sento ancora le voci che hanno schiacciato le anime, sento anche quelle di chi ha sacrificato se stesso per la libertà.

Scrivo con l`esigenza di mettere di fronte a me i miei rimorsi e le mie speranze! Scrivo per dire a tutti coloro che mi vedono forte che se non vedono le mie lacrime è perché scorrono dentro di me! Scrivo perché pretendo e sogno un mondo in cui non ci siano emarginati, un mondo in cui non si distingua fra noi e loro. Ma ci sia solo un NOI. Scrivo perché credo che oggigiorno possiamo ascoltarci l’un l’altro! Scrivo perché vedo che nel mondo in cui vivo la vita disgusta già tanti ragazzi quindi scrivo sperando di dar loro una ragione per vivere! Scrivo perché la vita mi inspira! Scrivo perché la vita merita qualche testimonianza! Scrivo pur di trasmettere qualcosa perché credo ancora alla condivisione delle emozioni, dei sorrisi sui volti veri! Non pretendo di cambiare il mondo, eppure provo a mettere in bianco e nero tutto quello che vedo! Scrivo perché credo che ognuno deve portare il suo mattone nella direzione che desidera per cambiare un po’ il nostro mondo. Se non facciamo nulla il mondo da solo non cambierà! Scrivo perché non ho altra scelta! Scrivo perché la scrittura è il mio mattone per cambiare il mondo!

di Yacob Fouiny


Yacob aveva scritto questo testo per la presentazione del Collettivo Antigone a Francoforte del 13.01 che -come promesso- avremmo continuato a ricordare nei mesi a venire. La foto è di Francesco Malavolta che ancora una volta accompagna le sue parole. Oggi fra l’altro è un giorno speciale: Il nostro piccolo grande scrittore fa il compleanno e noi del Collettivo gli auguriamo ogni bene. Soprattutto ci auguriamo di vederlo fiorire e sbocciare per rendere questo mondo un posto davvero migliore. Che tu possa conservare intatto il tuo sorriso.

Qui trovate gli altri suoi contributi al Collettivo

Il sogno continua

18 lunedì Gen 2016

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Antigone, Augusta, bellezza, Collettivo Antigone, MariaGrazia Patania, Moussa, Testimonianze

Da giorni ragiono su cosa scrivere per rendervi tutti partecipi di quello di cui io ho potuto fare esperienza in prima persona. Mi rendo conto che è una grossa responsabilità tradurre in parole le sensazioni, le emozioni, i gesti e gli sguardi di un giorno che non si dimentica.

Tutto inizia suonando al campanello di una porta di ferro dove si sono accumulate scritte e locandine stropicciate. Mi apre Francesco con un sorriso e Paco che abbaia poco convinto. Un lungo corridoio si snoda davanti a me, intercalato ai lati dalle ex celle. Ovunque murales, scritte di libertà e antirazzismo, locandine di eventi o mostre trascorse fra cui emerge anche la nostra. La meravigliosa foto di Francesco Malavolta scelta come simbolo del nostro incontro ci guarda dalla porta che conduce a un seminterrato. Siamo quasi soli e nell’edificio si sentono solo i nostri passi e la voce di Paco a cui non devo stare troppo simpatica.

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Inizio a sistemare le foto in modo che i migranti possano guardarci comodi mentre noi parliamo di loro e raccontiamo un Amore che non conosce frontiere e che nessun cordone di polizia, nessuna inferriata potrà bloccare. Arrivano Andrea e Lucia: finalmente conosco anche loro e cominciamo a raccontarci. Prepariamo il buffet, facciamo gli ultimi ritocchi e qualcuno arriva nella sala incuriosito dalle foto esposte. Nascono domande e risposte, nascono parole.

Siamo pronti per iniziare con una lezione di AcroYoga di Andrea Cangialosi (palermitano trapiantato a Berlino e fautore del progetto AcroYoga ohne Grenzen) e la sala comincia a riempirsi di persone curiose di provare questo esperimento di volo e fiducia. Io li osservo tentando di catturare qualcosa di quei momenti intensi e senza dubbio divertenti. Arriviamo alla fine della lezione e iniziamo a sistemare tutto per dare il via ai racconti.

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Proseguiamo con la proiezione di un documentario de La macchina sognante che descrive uno dei deprecabili modi in cui le multinazionali ci stanno divorando la terra e il futuro. Le vittime dirette sono in Brasile, ma nessuno può dirsi salvo. O innocente. Nelle parole dei nativi si scopre uno sconfinato e profondo legame con Madre Terra, con la Natura nelle sue molteplici manifestazioni, un Amore sottile che pervade il suolo per infiltrarsi nell’acqua ed arrivare al cielo.

Arriva il mio turno e inizio dalla mia scuola elementare, da quelle stanze, da quel cortile che per ben due volte hanno cambiato la mia vita: da bambina quando entrai per imparare a leggere e scrivere e da donna quando smisi di essere figlia unica per abbracciare quell’umanità sfuggita alle onde. Ad oggi non ricordo bene di cosa ho parlato: sicuramente di Moussa, di Youba, di Yacob, di Prince, delle file dal dottore, di quanto mi sentissi piccola e inutile nella mia vita comoda ed ipocrita. Ricordo che le parole fluivano e ricordo gli occhi degli uomini e delle donne di fronte a me. Uomini e donne che -prima e dopo gli interventi- mi hanno abbracciata, mi hanno fatto domande, mi hanno ringraziata. Uomini e donne che hanno partecipato col cuore ai miei ricordi. Uomini e donne che mi hanno trasmesso la certezza -intima ed incrollabile- che siamo tanti ad opporci alla barbarie contemporanea. Un sottosuolo di libertà e passione che detesta frontiere, filo spinato e violenze di ogni sorta. Siamo tanti, ma è difficile a volte far ascoltare la nostra voce che dissente. Pertanto iniziative come quella al Klapperfeld N’ 5 andrebbero ripetute senza sosta: per ri-conoscersi, per incontrarsi, per imparar-si e sostenersi in una lotta costante e talvolta sfiancante perchè non se ne vede la fine.

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Altri protagonisti indiscussi sono stati i fotografi: uomini che hanno sacrificato (e continuano a sacrificare) molto di se stessi per restituire dignità a chi fugge dalla morte e per fare a noi il dono della testimonianza. Michelangelo Mignosa da Catania, Francesco Faraci da Palermo e Francesco Malavolta in viaggio verso i Balcani hanno trovato il modo per infondermi coraggio ed esserci anche da lontano.

Abbiamo deciso di non chiudere così l’esperienza di Francoforte, ma continueremo a pubblicare -di tanto in tanto- il materiale che avevamo preparato. Affinchè quelle sbocciate il 15 Gennaio non restino fluttuanti emozioni, ma diventino sentimenti con storia e radici. Affinchè il viaggio continui. Le cose più belle di quel giorno non sono cose: sono sguardi, sono mani, sono speranze e consapevolezze. Sono giardini da annaffiare con cura.

di Maria Grazia Patania

13.01.2015: See you in Frankfurt

12 martedì Gen 2016

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Antigone, bellezza, Collettivo Antigone, MariaGrazia Patania, Testimonianze

Avevo pensato a tantissime cose da dire. Alla fine, troppo da fare e davvero poco da dire. Preferisco rifugiarmi nel lusso del non dover esserci a ogni costo. E nel silenzio.

E quindi solo una breve testimonianza del lavoro fatto nei giorni scorsi per raccogliere al meglio l´invito di Lucia e Pina con La Macchina Sognante. Per partecipare degnamente a questa iniziativa.

Ci si vede domani dalle 17:30 presso il klapperfeld.de – Klapperfeldstreet 5 60313 Frankfurt Germany. Insieme a Interkollektiv.de, La Macchina Sognante e AcroYoga ohne Grenzen

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Appunti di viaggio

Siamo partiti da qui: le prime tre foto sono di Francesco Malavolta, le due a seguire di Francesco Faraci e le ultime due di Michelangelo Mignosa

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Siamo approdati qui. Pronti a partire 🙂

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di Maria Grazia Patania

La Macchine Sognante & Collettivo Antigone: insieme per sognare piu forte

07 giovedì Gen 2016

Posted by orukov in 2016, Collaborazioni, Collettivo Antigone, Francesco Faraci, Francesco Malavolta, I figli della fortuna, La Macchina Sognante, MariaGrazia Patania, Michelangelo Mignosa, Mostre fotografiche, Parole del Collettivo, Progetti, Refugees Welcome, Restiamo umani, Simona D'Alessi, Testimonianze, Yacob Fouiny

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Antigone, bellezza, Collettivo Antigone, MariaGrazia Patania, Testimonianze

Antigone è nata sul divano rosso della mia cucina a Bonn. Il fatto che il 13 Gennaio io e una valigia carica di foto andremo a Francoforte a presentarci mi sembra una assurdità. Che io abbia potuto coinvolgere fotografi del calibro di Francesco Malavolta, Francesco Faraci e Michelangelo Mignosa non ha alcuna spiegazione razionale tranne che evidentemente esistono ancora umani che credono in altri umani. Che un progetto enorme come La Macchina Sognante tramite Lucia Cupertino e Pina Piccolo ci abbia notati dalla nostra dimensione di formica è una di quelle fortunate coincidenze della vita.

dremingmachineflyer-poster

Ma la vera vittoria, la vera gioia è aver raggiunto lo scopo iniziale: dare voce a chi la voce viene negata, dare un volto umano alle migrazioni di cui spesso si ricordano solo i numeri. La massa. Massa di morti, massa di vivi. Naufragi di massa, arrivi in massa. Questa vittoria la otteniamo ogni volta che ci leggete, che ci condividete, che mi scrivete in privato per raccontarmi che vi siete commossi. E la otteniamo ospitando il nostro Yacob: poterlo sostenere, leggere i suoi scritti in anteprima non è una gioia traducibile a parole. Ci piacerebbe allargare il coro di voci dei nostri fratelli e sorelle arrivati da lontano e lavoreremo anche per questo.

Intanto ci prepariamo degnamente al prossimo mercoledì quando le foto coi volti dei migranti dei fotografi di cui sopra ci faranno compagnia dalle ex celle di una ex prigione. Mi sembra una bellissima metafora per raccontare il senso della lotta, del cambiamento e dell´evoluzione: parleremo di libertà in un luogo che fu di detenzione e repressione. Cercheremo di coinvolgere chiunque sia lontano tramite questo blog e di raccontare gli eventi al meglio.

L´evento si terrà mercoledi´ 13 Gennaio dalle 17:30 presso Klapperfeld.de [Klapperfeldstreet 5 60313 Frankfurt Germany] ed è stato organizzato da InterKollektiv.de sostenuto e promosso dal giornale online ilMitte Parteciperà anche Andrea Cangialosi che presenterà il suo progetto di AcroYoga senza Frontiere.

Quì la pagina Fb dell´evento.

poster back Mignosa


Una cosa mi preme dirla a titolo personale: la sensazione che domina è lo stupore, la meraviglia. Mai avrei pensato di convogliare così tanta fiducia. Da parte dei fotografi che hanno aderito, da parte di Lucia e Pina che mi hanno invitata, da parte di ciascun membro del Collettivo. E soprattutto da parte del mio immenso capo. Anche in questa occasione, mi ha dato carta bianca. La stampa e la lavorazione delle foto sono il suo modo di sostenere il sogno di un mondo migliore.

di Maria Grazia Patania

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